Di seguito il mio articolo pubblicato martedì 12 febbraio 2012 da “Il Quotidiano del Friuli Venezia Giulia”.

RISCHIARE IMPARANDO DAGLI ERRORI – L’IMPRENDITORE DI SUCCESSO SI CONFRONTA CON LE IMPERFEZIONI

Johann Gutenberg, l’inventore della stampa a caratteri mobili, nel 1450 costituì una società con il banchiere Johann Fust e con l’incisore Peter Schöffer con l’obiettivo di stampare la “Bibbia a 42 linee” per poi commercializzarne le copie. Fust, che oggi sarebbe identificato con il termine inglese di “business angel”, contribuì con 1.600 fiorini allo sviluppo dell’idea imprenditoriale di Gutenberg. Qualche anno dopo, il banchiere, preoccupato dalla lentezza nell’ottenere le ambite alte remunerazioni dell’investimento, sciolse la società chiedendo a Gutenberg di restituire il prestito. Lo sfortunato inventore tedesco non fu in grado di restituire la somma e fallì.

In un recente articolo pubblicato sul blog del “Harvard Business Review”, vengono riportati alcuni dei più grandi errori imprenditoriali di Steve Jobs, personalità spesso paragonata proprio a Gutenberg per l’impatto mondiale delle innovazioni introdotte attraverso le sue aziende.  Ormai nota è la vicenda dell’allora ventinovenne Jobs che reclutò John Sculley, allora presidente della PepsiCo Incorporation, come CEO (amministratore delegato) della Apple; qualche anno dopo fu proprio Sculley che architettò l’allontanamento di Jobs dalla Apple. Sempre Steve Jobs ebbe grandi difficoltà nel gestire la Pixar e la NeXT computer e, inoltre, lanciò sul mercato alcuni prodotti che si rivelarono fallimentari quali the Apple Lisa, Macintosh TV, the Apple III, the Powermac g4 cube. Fortunatamente questi insuccessi costituirono la base per la realizzazione di prodotti più fortunati come iPod, iPhone, iPad.

Le vicende di Gutenberg e del fondatore della Apple ci fanno capire come l’essere coinvolto in un processo d’innovazione possa significare l’accettazione dell’imperfezione come parte del processo creativo. Solo dagli errori è possibile apprendere quello che può realmente funzionare e quello che è destinato a fallire. Anzi è proprio sostenendo questo processo che un imprenditore, gestendo o avviando un’azienda, assume il rischio d’impresa. Regole definite e assolute per diventare un imprenditore di successo, da questo punto di vista, non esistono. Come ci insegnano gli scienziati cognitivi, impegnandosi in operazioni rischiose e dall’esito incerto si tende a considerare in primo luogo i pericoli derivanti dal perdere i nostri averi e, in subordine, i possibili e ingenti guadagni. Avere la forza, il talento e qualche volta l’incoscienza di andare oltre questo modo di concepire le cose è una prerogativa imprenditoriale che non deve essere compressa da una cultura che condanna eccessivamente il fallimento. Il rischio, infatti, è quello di un rallentamento dell’azione innovativa.

Seguendo questo ragionamento, incentivare le nascenti imprese ad alto tasso d’innovazione (start-up), ovvero attività molto rischiose e con elevati tassi di insuccesso, attraverso la leva fiscale può rivelarsi inefficace. Meccanismi assicurativi e normative concorsuali che evitino il fallimento (o ne attenuino le conseguenze), possono invece svolgere un ruolo decisivo.