Di seguito il mio contributo per Il Quotidiano FVG del 22 ottobre 2013.
Il contratto di rete e la necessità di gestire le numerose relazioni
Come è noto, la piccola dimensione delle imprese italiane spesso genera inefficienza a causa del costo dell’elevato numero di relazioni e di transazioni da gestire all’interno delle filiere, siano esse orizzontali o verticali. Inoltre, in un’economia dove il vantaggio competitivo per le imprese dei paesi avanzati si basa sulla conoscenza e sulla smaterializzazione del valore e dove si vendono idee, creatività e servizi (e non solo prodotti materiali) vanno favoriti i percorsi di condivisione delle informazioni commerciali, la ricerca pre-competitiva, le collaborazioni allo sviluppo di prodotti e servizi innovativi e le attività di ricerca e sviluppo svolte in comune.
Situazioni di mancanza di fiducia tra imprese e tra queste e i loro interlocutori (banche, clienti, fornitori, enti e istituzioni pubbliche) non sono, quindi, più sostenibili; assume rilievo, invece, la capacità di agire in modo coordinato, elevando la propensione a dialogare, a negoziare e a stipulare accordi reciproci profittevoli. Fare rete diventa un efficace antidoto contro la crisi perché permette di aumentare il fatturato, di sfruttare economie di scala e, talvolta, di allentare la stretta del credito bancario. Per questa ragione cresce l’attenzione riposta sugli strumenti quali i consorzi, le ATI (associazioni temporanee d’impresa) e il contratto di rete sia da parte delle istituzioni come la Regione, le Camere di Commercio, e le associazioni di imprenditori sia delle società di servizi e dei consulenti legali, fiscali e manageriali.
I progetti di aggregazione, tuttavia, presentano anche delle criticità perché impongono una modifica nell’approccio culturale esistente che rimane ancora avverso ai raggruppamenti. Considerato sotto questo aspetto, il contratto di rete è uno strumento giuridico che consente di perseguire strategie di aggregazione tra imprese senza il vincolo di costituire un nuovo soggetto e preservando l’identità delle singole aziende aderenti; esso, infatti, permette ai partecipanti di scegliere in autonomia la governance e le altre caratteristiche della rete e, a condizione che ci si basi su regole di collaborazione predefinite ed economicamente convenienti, rende possibili aggregazioni fondate su vincoli deboli fra i partner e sulla possibilità di decidere con pariteticità.
Questo strumento giuridico deve essere utilizzato in maniera appropriata poiché sposta il focus decisionale e operativo dalle singole imprese alle loro aggregazioni. Esso, di conseguenza, richiede un’attività di coordinamento a cura del manager di rete (alliance manager), figura che dovrà possedere le competenze per governare le relazioni tra tutti i soggetti della rete, armonizzare i diversi interessi in campo, progettare lo sviluppo commerciale della rete, elaborare le strategie, i piani e le iniziative dell’organizzazione, curare l’analisi dei bisogni dei soci e, in definitiva, promuovere il conseguimento degli obiettivi imprenditoriali degli associati.
Alessandro Braida
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