Come consulente di management da diverso tempo mi occupo di reti di impresa. In particolare, me ne occupo in ambito turistico e più precisamente in quelle zone denominate “aree interne”, ovvero “aree significativamente distanti dai centri di offerta di servizi essenziali (di istruzione, salute e mobilità), ricche di importanti risorse ambientali e culturali e fortemente diversificate per natura e a seguito di secolari, processi di antropizzazione”[1]. Questa esperienza mi consente di tracciare un breve approfondimento relativamente ad alcuni aspetti che hanno a che fare con le dinamiche che si sviluppano nei network fra imprese.
In qualità di consulente della rete denominata “Le Donne della Benecija”[2], ho recentemente partecipato a un percorso formativo organizzato da Slow Food Italia per operatori delle Valli del Natisone. Il progetto si è sviluppato attraverso due giorni di attività, svolte sia in aula sia con esperienze dedicate a conoscere aziende agricole ed enogastronomiche della zona. Fra le attività d’aula gli animatori di Slow Food hanno condotto un focus sull’analisi, la validazione e la definizione dell’offerta che compone la destinazione (delle Valli del Torre e del Natisone). L’esperienza si è svolta, in un ambiente piacevolmente riscaldato dal caminetto, presso l’agriturismo Zaro di Farcadizze (UD) [3] e ha coinvolto circa 40 operatori del settore. Lavorando su alcuni ipotetici clienti target sono stati individuati i punti di forza e di debolezza dell’attuale proposta turistica ed enogastronomica che contraddistingue queste valli. Uno degli aspetti emersi dal dibattito con i partecipanti è certamente quello della necessità, condivisa da molti operatori, di aumentare il livello di conoscenza reciproca. Un aspetto, questo, che spesso si sottovaluta o addirittura si tralascia nelle fasi che contraddistinguono i percorsi creati per far nascere delle reti di imprese o altri tipi di network. Una conoscenza approfondita fra imprenditori richiede tempo, ma è una condizione imprescindibile per sviluppare quel rapporto fiduciario alla base della crescita dei network fra soggetti che perseguono le loro finalità in maniera separata e diversa dagli altri.
Il sociologo Baumann nella sua pubblicazione “Amore liquido”[4] ha evidenziato come impegnarsi in relazioni stabili sia diventato difficile in assenza dell’impegno e dello spirito di sacrificio necessario. Tuttavia, le reti fra attori economici possono durare nel tempo nella misura in cui le relazioni fra i soggetti che ne fanno parte riescono a consolidarsi attorno a un progetto condiviso capace di produrre vantaggi (non solo i termini di maggiore competitività) per tutti.
Mentre le aziende di dimensioni medie o grandi possono disporre di certificazioni rilasciate da enti esterni – che possono in qualche maniera ridurre il rischio insito nelle relazioni di business – e possono contare su strutture organizzative dotate di maggiore capacità manageriale nel gestire trattative commerciali, nel costruire una rete, le imprese di piccole o micro dimensioni devono necessariamente affrontare un percorso di conoscenza e condivisione destinato a creare ed accrescere la loro fiducia reciproca. Conoscere chi sono i partner con cui collaborare, cosa producono, dove producono, come e con chi lo fanno, come prendono le decisioni, qual è la loro visione d’impresa, il loro modello di business e quali sono i problemi che affrontano è un passaggio inevitabile. Il fatto che spesso si scopre che anche imprese insediate nei medesimi territori non si conoscono a sufficienza è significativo di come sia presente una frammentazione nelle relazioni inter-organizzative. In qualche modo, questo limite deve trovare soluzioni.
L’elemento fiduciario è un concetto complesso e studiato da tempo da innumerevoli autori sotto diverse angolature: psicologiche, antropologiche, sociologiche, economiche ecc. Molteplici, inoltre, sono le definizioni del concetto di fiducia che si trovano in letteratura[5]. Molte fra queste indicano che quando si ripone fiducia in una controparte c’è sempre un rischio che deve essere necessariamente assunto; ciò vale sia nei rapporti diadici sia in quelli fra organizzazioni. Le caratteristiche delle controparti con cui si sviluppano le relazioni non sono sempre chiare e svelarle completamente non è nemmeno possibile. Sul piano manageriale, è dunque importante indagare sull’esistenza di tecniche e strumenti capaci di aiutare la complessa gestione delle relazioni fiduciarie.
S. Castaldo, in un contributo di qualche anno fa dove delineava i tratti del “trust management”, evidenziava alcune linee guida sul piano della gestione degli aspetti legati alla fiducia[6]. L’autore poneva l’accento sull’analisi e sulla misurazione della fiducia oltre che sui legami con le variabili ad essa collegate e sulle politiche per il suo accrescimento. Tenendo in considerazione i ragionamenti di questo autore e parametrandoli alla mia esperienza nella costruzione e nella gestione delle reti di impresa (o di professionisti), va detto che sul piano dell’analisi e della misurazione della forza dei legami fra possibili partner di un network insistono elementi fondamentali e relativi alla qualità delle relazioni. Le relazioni fra le parti, anche se preesistenti, devono essere consolidate con attività che richiedono tempo e costanza. Un lavoro per il quale, facilitatori e consulenti capaci di coinvolgere le parti in percorsi motivanti di condivisione della conoscenza e di co-progettualità hanno una valenza particolarmente significativa. Essi, infatti, possono disporre delle competenze per utilizzare proficuamente metodi e strumenti come i circoli di studio, le comunità di pratiche o anche tecniche come il design thinking che consentono di far lavorare le persone alla costruzione condivisa di un progetto facendo emergere convergenze caratteriali, personali, strategiche e operative oltre che competenze specifiche.
I rapporti fra le parti, tuttavia, cambiano nel tempo. E anche dopo percorsi condivisi che possono aver prodotto dei buoni risultati o addirittura condotto alla nascita di una rete formalizzata, le parti coinvolte in un progetto aggregativo, oltre che presentare cambiamenti sul piano personale e umano, possono presentare nuovi obiettivi, evoluzioni nella struttura organizzativa della loro impresa, nelle persone di loro riferimento, nei mercati target, ecc. Questi aspetti possono in più di qualche caso far degenerare i rapporti con gli altri attori di una rete. Per il buono e duraturo funzionamento di una rete d’impresa, pertanto, occorre lavorare sul mantenimento e sull’accrescimento del livello di fiducia nel tempo, continuando ad alimentarla e a monitorarla costantemente. Inoltre, sono necessari strumenti di regolamentazione dei rapporti fra le parti come accordi, contratti di rete, patti interni e occorre agire sul piano del monitoraggio delle performance della rete, del consolidamento del modello di business introducendo una valida organizzazione preposta al coordinamento della rete.
Decisive per il successo di network sono le competenze dal punto di vista giuridico, fiscale e, soprattutto, nella conduzione dei progetti condivisi. Ancor di più, tuttavia, contano capacità nelle fasi di ascolto, di comunicazione e di mediazione fra i soggetti della rete e nella conduzione della leadership: un network, pur esaltando l’orizzontalità delle relazioni e poggiando le sue basi sull’autonomia delle parti, esige anche logiche top-down senza le quali sarebbe destinato a implodere nel tempo.
Alessandro Braida
[1] https://www.miur.gov.it/documents/20182/890263/strategia_nazionale_aree_interne.pdf/d10fc111-65c0-4acd-b253-63efae626b19
[2] www.ledonnedellabenecija.it
[3] https://agriturismozaro.it/slow-food-italia-ospiti-in-farcadizze/?cn-reloaded=1
[4] Bauman Z., Amore Liquido, 2006, edizioni La Terza
[5] Per approfondimenti si rimanda all’articolo: Rousseau D. M., Sitkin S.B., Burt R. S., Camerer C. – “Not So Different After All: A Cross-discipline View of Trust” – Academy of Management Review, Vol 23 N. 3 – 1998
[6] Si fa riferimento al contributo “Trust management” in Fiocca R., Rileggere l’impresa, 2007 – edizioni Etas