La conduzione della leadership è da sempre un punto di partenza decisivo per creare un business di successo. Durante l’emergenza da Covid-19, gli imprenditori che hanno ammesso i problemi e le difficoltà causate dalla pandemia, coinvolgendo i propri stakeholder per programmare la ripartenza, si sono dimostrati più resilienti. Nella seguente intervista, proposta da Alessandro Braida a Riccardo Cicuttin (consulente aziendale e psicologo del lavoro), emergono alcuni aspetti fondamentali nel rapporto fra aspetti emozionali e aspetti razionali che contraddistinguono una leadership efficace e lungimirante.
1 – Ad un imprenditore, lavoratore autonomo che vuole rilanciare la sua attività dopo le conseguenze del COVID-19 e delle accelerazioni in alcune tendenze (digitalizzazione, sostenibilità, etc.), la tua indicazione ancora lo scorso anno fu quella di pensare “al mondo che desideri” e di “contribuire con la tua azienda a crearlo o renderlo possibile”. Come consulente di management oltre che psicologo che opera nelle organizzazioni che competenze puoi mettere in gioco per aiutare le persone in questa direzione?
Credo che siamo mediamente disabituati a dare forma e parole ai nostri desideri più profondi, ed in fin dei conti dedichiamo loro poco tempo e poca cura. Un consulente che si impegna a promuovere e sostenere il cambiamento nella vita delle persone che scelgono di lavorare con lui, ha innanzitutto un approccio di ascolto, legittimazione e sospensione dal giudizio, ovvero le prime competenze utili a mettere le persone nelle condizioni migliori per esprimere qualcosa di intimo ed importante come un desiderio. Solo successivamente il consulente potrà agire ulteriori competenze relazionali e comunicative. Ascolto attivo, rispecchiamento emotivo, riformulazione sono alcune possibilità da agire per aiutare le persone a raffinare la loro immaginazione, ad arricchirla e a creare le basi per una successiva progettualità. È molto importante sapersi affiancare alle persone per aiutarle ad entrare in contatto pieno con le proprie risorse e i propri limiti, insomma a farle avvertire un senso di protagonismo ed autoefficacia.
Se è possibile citare alcuni modelli di intervento, che giudico pietre miliari nella letteratura della psicologia del lavoro e nel counselling professionale, non esito a nominare il costrutto di Autoefficacia di Bandura, il modello di Empowerment su cui ha lavorato Massimo Bruscaglioni, la comunicazione strategica di Watzlawick e di Giorgio Nardone, per arrivare al più recente modello del Business Model Canvas.
Senza entrare nel dettaglio, quindi, posso affermare che un consulente di management ben preparato, con consolidate competenze di tipo relazionale/psicologico, è un grande aiuto per imprenditori, gruppi di progetto e lavoratori autonomi poiché in grado di sostenere i diversi passaggi che portano dal desiderio, alla progettualità, al business plan.
2 – Negli ultimi anni sono nate e si sono diffuse numerose tecniche che aiutano a sviluppare il pensiero creativo in azienda (ad esempio il design thinking, ma anche strumenti come il business model canvas). A tuo parere, in questo particolare e straordinario momento storico ha maggiore importanza la capacità di utilizzare tecniche di questo tipo oppure è necessario far leva su forti spinte emozionali che permettono di andare oltre le paure e le barriere che ostacolano nuove visioni per il futuro?
L’applicazione del “modello” o ancor peggio della tecnica, in modo avulso dagli aspetti emotivi, è un’utopia tecnocratica che porta verso scenari sterili ed inefficaci. La ricchezza di un’idea è il suo calore emotivo. Le emozioni, i valori, i desideri, le speranze ed i bisogni sono il carburante principale del cambiamento e della crescita. Come fai a credere in qualcosa, a superare le difficoltà, le crisi, gli impegni, se non hai un sacro fuoco che arde dentro di te?
Quindi si, non posso che confermare il ruolo primitivo e importantissimo che una spinta emotiva ha nei confronti del cambiamento, dell’innovazione e nella visione del futuro. E per dirla tutta, per superare una paura è bene prenderne consapevolezza.
Poi ovviamente il carburante non basta. Ci vuole il motore. E quindi le tecniche a cui facevi riferimento diventano necessarie, da De Bono in poi possiamo usare tutto, e quanto più saremo in grado di padroneggiare efficacemente questi strumenti, tanto più daremo forza generativa e concretezza alle motivazioni e agli stati emotivi profondi.
3 – Durante quest’ultimo anno quali sono gli stili di leadership che hai visto prevalere nelle aziende e nei professionisti tuoi clienti? E nella ripartenza rimarranno le stesse oppure cosa cambierà sotto questo aspetto?
Inizio ammettendo che il mio punto di vista sul mondo in questo anno abbondante di pandemia è decisamente parziale. Personalmente ho avuto la fortuna di lavorare con continuità e cosi ho visto fare anche ai miei partner ed alle aziende con le quali condividiamo progetti di collaborazione. Certamente si sono potute notare alcune reazioni iniziali caratterizzate da un substrato comune, l’incertezza, e dalla necessità di gestirla, sia in termini di business, che in termini affettivi.
La capacità connessa alla leadership che ho notato esprimersi con maggior efficacia è stata proprio l’accettazione di quanto stava accadendo. Per questo non intendo dire che ho visto imprenditori subire passivamente gli eventi, anzi, gli imprenditori “efficaci” hanno saputo ammettere una preoccupazione, non farne mistero quindi, ed entrare in sintonia con le preoccupazioni di collaboratori, partners e clienti, senza rimanerne sopraffatti. Ascoltarsi ed ascoltare ritorna come competenza determinante, anche in questo caso. E per molti è stato un punto di partenza per prendere decisioni in merito al “cosa fare”: si è investito il lavoro dei collaboratori verso i processi interni (riordino, riqualificazione di spazi e metodi, aggiornamento e formazione, attività di problem solving), si è dato spazio a progetti alternativi e spin-off, si sono ottimizzati rami d’azienda coerenti con le possibilità del momento, o si è lavorato per trovarsi pronti alla “ripartenza”.
In sintesi, e a costo di dire una banalità, la leadership che ha funzionato è stata quella che non ha messo la testa sotto la sabbia, ma allo stesso tempo ha mantenuto la lucidità anche di fronte ad una situazione cosi improvvisa e pervasiva, inducendo anche le persone vicine a gestire il lavoro e la vita con cautela e lungimiranza. Come lo ha fatto? Trasmettendo l’idea che il tempo non era sospeso, che il lavoro non era finito, facendo risuonare comunque l’importanza dell’impegno quotidiano anche attraverso forme inedite di lavoro (lavoro da casa, orari svincolati, flessibilità, etc…).
4 – Le leadership partecipative basate sull’empatia, sulla capacità di coinvolgere e motivare i collaboratori sono ormai quotidianamente al centro di articoli, webinar, corsi di formazione oltre che di centinaia di post su linkedin e facebook. Tuttavia, nelle organizzazioni spesso noi consulenti vediamo prevalere ancora leadership basate sull’autorità e la gerarchia. Come si può migliorare da questo punto di vista? Noi consulenti che ruolo possiamo avere?
La crescita basata solamente su autorità e gerarchia è una crescita fragile e limitata. Il coinvolgimento trasparente e chiaro rappresenta sempre il miglior patto psicologico che può essere applicato in una organizzazione aziendale.
Posso proporre una distinzione tra Autorità e Autorevolezza, che magari ci aiuta a osservare in modo diverso i comportamenti nostri e degli altri. Mentre l’Autorità agisce per se stessa, per il mantenimento di uno stato “congelato”, l’Autorevolezza agisce per il bene di altri, mettendo a disposizione esperienza, competenza e prospettiva. L’Autorità ti dice come devi fare quella cosa, l’Autorevolezza ti mette nelle condizioni di trovare un senso al tuo lavoro e di realizzarlo al meglio, realizzando anche te stesso.
Oggi chiunque sia un leader in azienda può pensare di avere l’obbligo deontologico di aiutare i collaboratori a scoprire ed incarnare il “perché” si compiono scelte, si attuano comportamenti e si determinano modi operativi.
Poi non dobbiamo mica buttare via il bambino con l’acqua sporca, gerarchia e struttura nelle organizzazioni hanno un senso funzionale indiscutibile; diventano autoritarie e cieche nel momento in cui impediscono i cambiamenti necessari.