Per riflettere sugli aspetti emotivi, psicologici e relazionali che emergono nelle persone e nelle aziende durante queste settimane propongo un’intervista a Riccardo Cicuttin, psicologo e consulente aziendale, esperto di risorse umane.
- In qualità di psicologo e consulente aziendale, quali sono le emozioni e i comportamenti che più ti hanno colpito in queste settimane nelle persone e nelle aziende?
L’essere messi a contatto con una improvvisa interruzione delle proprie certezze ha contribuito a far maturare una emozione di paura. Questa emozione si è diffusa in modo ampio e rapido, ma con forme di espressione molto diverse di caso in caso. Prima ancora che avventurarmi in una tassonomia di come la paura si è manifestata, posso citare alcuni casi con cui sono stato a diretto contatto.
Le prime fasi, diciamo verso la fine di febbraio, hanno interessato in modo particolare il settore fiere ed eventi. Gli operatori di quei settori si sono visti di punto in bianco annullare impegni e commesse con una velocità di cui non avevano mai avuto esperienza e con prospettive ignote. Vi lascio immaginare i volti di queste persone nel momento in cui, da una settimana all’altra, a volte anche in tempi più brevi, hanno sentito crollare le proprie prospettive di lavoro, magari con progetti già pronti, allestimenti per i quali avevano già acquistato materiali, persone che avevano già ingaggiato per i montaggi.
Entro poi in contatto con i settori che, pur avendo una riduzione dell’attività, tengono i battenti aperti e ricorrono a forme di gestione del personale orientate a limitare i danni (ferie e cassa integrazione).
Ci sono infine le attività che sono “costrette a chiudere” o che perlomeno non hanno le condizioni per svolgere il lavoro in modo sostenibile.
In questo panorama la paura si declina in modi diversi: c’è chi preso dal panico pensa di chiudere l’azienda, c’è chi ha appena fatto investimenti e, percependosi nell’impossibilità di farvi fronte nel modo in cui aveva previsto, mischia paura e senso di impotenza ricavandone una forma di rabbia.
In tutto questo però ho anche avuto modo di entrare in contatto con professionisti e aziende che, pur accettando controvoglia e loro malgrado la situazione critica, hanno trovato energie, stimoli e motivazioni per approfondire modalità di lavoro, servizi e fette di mercato che per loro erano fino a quel momento inedite o ritenute marginali.
Abbiamo quindi gli esempi di ditte di impianti termoidraulici che ragionano in modo consorziale per progettare e installare impianti di sanificazione, piccole o micro imprese del settore primario che si organizzano per spostare la lancetta del fatturato dal BtoB al BtoC attraverso la consegna a domicilio (orti, birrifici, aziende vinicole, piccole torrefazioni di qualità).
Certamente paura, incertezza, rabbia, delusione sono sentimenti spontanei e diffusi, per fortuna gli imprenditori lungimiranti e coloro ai quali non disturba uscire dalla propria zona di comfort stanno reagendo con un investimento di tempo ed energia in processi che fino ad ora non avevano trovato risorse per essere consolidati o portati verso migliori livelli di efficacia
- Il rischio che una grave epidemia potesse verificarsi è stato decisamente sottostimato in Italia e anche in altre nazioni sviluppate. Ora che è un evento drammatico con conseguenze sanitarie, sociali ed economiche senza precedenti si è verificato, in che maniera cambierà nelle persone e nelle aziende la percezione del rischio?
La percezione dei rischi ha spesso un substrato soggettivo, culturale, mediatico e di interesse molto difficile da sradicare, con la conseguenza di una vera e propria dispercezione.
Fenomeni sociali come il crimine, la violenza domestica, l’immigrazione subiscono poderose distorsioni cognitive e percettive che diventano successivamente scelte comportamentali e politiche importanti e spesso dannose.
Ma vogliamo cambiare ambito? Beh, pensiamo a quanto siano pericolose alcune abitudini che ciascuno di noi, a misure variabili, mette in atto quotidianamente. Se andiamo a confrontare la nostra percezione con i dati reali, potremo scoprire quanto siamo disposti ad assumerci a cuor leggero i rischi connessi all’utilizzo dell’automobile, del telefonino, del sesso non protetto, del consumo disordinato di alcool, di carni rosse, di cibo malsano o in generale di stili di vita che già sul breve/medio periodo possono causare gravi conseguenze alla nostra persona.
Fatta questa dovuta premessa credo che anche in questa occasione pandemica la società italiana abbia affrontato con grave ritardo l’occasione di ragionare, dati alla mano, sule reali cause e sulle reali precauzioni da prendere nei confronti del virus SARS-COV2.
Non parlo del sistema sociosanitario perché non ne sono esperto, cito però quella che a mio avviso è stato l’approccio grossolano al blocco ampiamente irrazionale delle “attività umane”: correre o passeggiare da soli non è rischioso ne per se stessi ne per gli altri, per prendere una cosa piccola (che poi piccola non è), cosi come si sono chiuse aziende seguendo una logica “per codice ATECO” anziché pensare che debba chiudere una azienda altamente meccanizzata, che potrebbe rispettare norme di prevenzione sanitaria, mantenendo viva la produzione e garantendo (proprio per l’organizzazione dei processi di lavoro) distanza sociale sicura tra gli operatori. Dall’altra parte abbiamo osservato che nei negozi di alimentari e della GdO le misure di prevenzione (dotazione di mascherine e guanti agli operatori, pannelli di plexiglass alle casse) sono state per molto tempo appannaggio della discrezionalità del management, anziché essere soggette ad urgenti interventi normativi.
Ecco, penso quindi che i meccanismi dell’informazione e della percezione del rischio stenteranno a cambiare nel breve periodo, anche perché sono soggetti a quei “bias cognitivi”, ovvero a quegli errori sistemici, dovuti proprio al funzionamento della persona, o per meglio dire dell’umanità. Cosa può o dovrà cambiare invece? Certamente la cultura dell’informazione, dell’approccio alla gestione dei dati, ed in particolare abbiamo sempre più bisogno di far lavorare insieme la ricerca quantitativa con l’analisi sociologica e psicologia dei fenomeni.
- A tuo modo di vedere man mano che le misure restrittive si allenteranno e via via si ritornerà a una vita normale, quanto rimarrà degli atteggiamenti prudenziali acquisiti in questi mesi? Cambieranno le abitudini o prevarrà la voglia di ritornare a quelle precedenti?
In parte ho già risposto sopra. A mio avviso comunque la pandemia ha portato alla luce i reali punti di forza e punti deboli delle diverse comunità. Osserviamo velocità ed ampiezze di diffusione molto diverse in diverse parti del mondo.
Non c’è ancora una accettazione ed una diffusione degli studi e delle ipotesi che spiegano queste diversità, ma sono convinto che molto sia interpretabile con un approccio culturale, ovvero ponendo l’attenzione sul complesso sistema di abitudini sociali, atteggiamenti, modalità di gestione delle comunità e del territorio, politiche e meccanismi di governance.
Auspico che cambino le abitudini, certamente. Auspico che si diffonda un ragionamento che ridefinisca il valore che attribuiamo ai diversi aspetti della vita.
Una osservazione: da un lato è innegabile che lo smartworking (parola che ai più era ignota prima del lockdown, e che ai più rimane parzialmente o completamente incompresa) non sia la panacea a tutti i mali, e soprattutto che non riesca a sostituire o supplire le attività professionali per come le abbiamo vissute fino ad ora, tuttavia vanno evidenziate alcune cose:
- Abbiamo avuto esperienza di come siamo riusciti a fare lo stesso tante cose evitando l’uso dell’automobile
- Ci siamo resi conto che il cambiamento dei processi lavorativi non è dato dal mero possesso di un computer o di un tablet, ma richiede un rinnovato approccio al lavoro
- L’impatto ecologico del lockdown è importante
Lungi da me voler offrire una ricetta per “il nuovo mondo”, ma se prendiamo i tre punti appena citati come l’inizio di un ragionamento di riforma, credo che possiamo anche costruire un futuro dai toni interessanti.
Poi mi sento anche di dar ragione a Massimo Cacciari che chiude una recente intervista di una rivista online con queste parole “[…]non c’è nessuna rottura nella storia. Le teste di cazzo sono rimaste proprio uguali, identiche a com’erano prima del Coronavirus”
- A mio parere fenomeni quali le fake news e le costruzioni di post verità continueranno anche dopo l’emergenza. Non credo che i no vax siano spariti e che gli scienziati mantengano facilmente il ruolo che stanno avendo in questi giorni. Ci sarà una maggior razionalità nelle decisioni future e negli schemi cognitivi delle persone?
No. Non sarà l’evento di per sé a generare cambiamento nei meccanismi di scelta e decisione.
Siamo umani, ed in quanto tali siamo “viziati” per natura. Siamo soggetti a meccanismi “difensivi” che spesso si rivelano disfunzionali nei confronti dell’approccio all’informazione ed alla decisione. Impossibile sbarazzarcene, ma invece è possibile esserne consapevoli ed imparare innanzitutto che questi meccanismi esistono, ed in seconda battuta imparare a governarli meglio.
Ribadisco una cosa di cui sono pienamente convinto, ovvero che l’epidemia del virus SARS-COV2, pur essendo imprevedibile e deflagrante, ha “solamente” portato a galla le fragilità del sistema culturale di cui siamo quotidianamente attori protagonisti. Non credo ci sia nulla di nuovo in questo: dagli atteggiamenti individuali alle misure di contenimento, dalla crisi finanziaria ed economica alle conseguenze nel mercato del lavoro (penso in particolare all’agricoltura massiva in questi giorni) abbiamo esempi di come le disfunzioni ed i problemi tamponati fino ad ora stiano emergendo in modo drammatico.
Inadeguatezza del sistema sanitario, obsolescenza del sistema istruzione, politiche del lavoro e lavoro nero, corruzione, malavita organizzata, e molto altro ancora, sono problemi della nostra società che si stanno manifestando in modo inequivocabile e li nega solo chi non li vuol vedere. Parlo di questo non per cambiare discorso, ma per portare l’esempio concreto di quanto fino ad ora siamo stati impreparati.
Possiamo cambiare, si. Una sfida difficile, lunga, molto impegnativa, ma possibile.
Ci sono a mio avviso alcuni ruoli chiave che dovranno assumersi la responsabilità di generare il cambiamento, di facilitarlo e di sostenerlo. Non parlo dei politici, è un ambito molto lontano da questa discussione e di difficile intervento.
Parlo invece di chi ha la possibilità, per professione e per frequenza di occasioni, di accompagnare le persone a esperire nuovi modi di prendere decisioni e di gestire la propria vita e la propria inevitabile partecipazione alla vita di comunità (di cui tutti siamo responsabili).
Innanzitutto, noi consulenti abbiamo un grande potenziale nella progettazione organizzativa e nell’accompagnare le aziende verso la creazione di valori positivi e sostenibili.
Hanno un ruolo importantissimo, determinante, insegnanti e educatori i quali hanno la possibilità di mettere in evidenza l’importanza non solo delle informazioni, ma soprattutto quella dei processi di apprendimento e relazione.
- Sul piano del rispetto delle regole quanto è contato un atteggiamento di paura per la propria salute e quanto un meccanismo razionale di accettazione della restrizione della libertà?
Ci tengo a precisare una cosa, non sempre l’emozione dalla paura è polarmente opposta o incompatibile con la razionalità, anzi, il concetto e le pratiche di sicurezza sono proprio il frutto di un lucido connubio tra una paura determinata dalla consapevolezza del rischio e l’organizzazione di comportamenti che ci tengano lontani da rischi inutili
Venendo all’insieme di regole che stanno governando le nostre vite in queste settimane: parer mio alcune hanno avuto un vero e proprio senso, altre invece sono state determinate ed applicate anche senza una stringente necessità.
Penso al controverso divieto di praticare sport all’aria aperta, anche in luoghi in cui il distanziamento sociale era garantito.
Insomma, le persone ragionevoli, quelle che hanno compreso i meccanismi di contagio, o che perlomeno hanno capito che i veicoli del virus sono efficaci entro una certa distanza o attraverso alcuni tipi di contatto, non sentivano la necessità di un controllo cosi stringente e punitivo. D’altra parte c’è stata una fetta di popolazione che non ha saputo adeguarsi a quanto normato.
Abbiamo tutti avuto coscienza poi di chi, pur muovendosi nell’ambito stringente delle disposizioni, ha assunto comportamenti diametralmente opposti a quelli del buon senso.
Porto un esempio sciocco, ma reale: se vai a correre da solo in un parco aperto, in una strada deserta o ancor meglio, come diciamo in Friuli, “in mezzo ai campi”, certamente sei al sicuro e non fari correre dei rischi a nessuno, ma contravvieni alle ordinanze; tuttavia hai la possibilità di farti il tour dei supermercati del paese comprando un pezzo da una parte, tre pezzi dall’altra e cosi via, mantenendo una rigorosa osservanza formale, ma esponendo te stesso e gli altri a forme di possibile contagio.
- Alcuni acuti studiosi hanno fatto notare che il distanziamento sociale e l’isolamento paradossalmente fanno emergere che la vita non era e non è tutta on-line. Le persone vogliono tornare a vivere le relazioni in maniera più reale. Che ne pensi?
Non saprei dare una risposta pronta. Credo una cosa però, che stando lontani gli uni dagli altri abbiamo avuto l’occasione di riflettere su quali sono le nostre relazioni soddisfacenti, quali sono le persone di cui davvero sentiamo la mancanza “fisica”. Mi auguro che avremo la forza e la determinazione di perseguire il desiderio di relazionarci in modo sincero e meno “schermato”. Questo va di pari passo con l’accettazione della nostra solitudine e con la costruzione della nostra autonomia individuale.
- In questi giorni ci stiamo accorgendo che molti lavori possono essere svolti a distanza. Credi che sia possibile continuare a lavorare a distanza o all’interno delle aziende gli aspetti legati alle questioni più umane (la motivazione, il clima aziendale, ecc.) delle relazioni torneranno ad essere protagonisti?
Ecco, questo è un tema importantissimo per la cultura professionale italiana in cui la presenza visibile è spesso confusa con produttività ed altrettanto spesso l’affidabilità de-facto è scarsamente misurata e valutata.
Anche in questo caso stiamo assistendo ad episodi di improvvisazione virtuale alquanto lacunosi.
Ma preferisco concentrarmi sulle aziende che già da tempo hanno progettato ed implementato sistemi per il telelavoro, o la gestione per obiettivi, o sistemi di delega e teamwork per cui non è strettamente necessaria la presenza simultanea nello stesso luogo. Per alcune di queste aziende abbiamo anche lavorato insieme, e tra telelavoro e part-time flessibili avevano addirittura aumentato la percezione di qualità del proprio lavoro da parte dei dipendenti, con conseguenti livelli di fidelizzazione del personale e clima decisamente buoni.
La mia speranza riguarda proprio l’apprendimento di una nuova cultura del lavoro, un tema certamente complesso, che potrebbe essere interessante articolare in un futuro prossimo
Un buon team è formato da persone autonome ed interdipendenti, e questo tipo di relazione può avvenire anche a distanza, certamente il contatto umano vicino, corporeo, è un aspetto irrinunciabile, cosi come la condivisione di un tempo informale e morbido, non strettamente dedicato alla produzione, ma che è comunque un carburante forte per la produttività.
Per tornare alla tua domanda: credo di sì, credo sia possibile ottenere risultati buoni e duraturi nel tempo anche per i team, le organizzazioni e le aziende che fanno una scelta “cyber”, a patto che si riescano ad alimentare anche driver relazionali forti. A mio avviso, ma qui so di tirare l’acqua al mio mulino, una esperienza di team building all’aria aperta, magari con una bella sfida da affrontare tutti insieme, crea un legame cosi importante che poi diventa elastico e resiste anche alla distanza.
Altre cose importanti per mantenere fiducia e buon clima in situazioni di smartworking o telelavoro? Piattaforme di comunicazione funzionali, definizione di obiettivi e trasparenza dei processi, valutazione del personale a 360°, sia degli individui (tutti, capi compresi) che dei team.
La qualità delle relazioni è sempre protagonista!
- In questi giorni si sta dibattendo di come sarà il “new normal” dopo che saremo usciti da questa situazione. Cambieranno gli stili di vita ed è sicuramente necessaria un’economia più sostenibile. Tuttavia, abbiamo visto che per ottenere determinati comportamenti rispettosi delle restrizioni delle libertà e del distanziamento sociale si debba comunque ricorrere a sanzioni, controlli, elicotteri, polizia, militari etc. In futuro ci saranno probabilmente normative severe e sanzioni sul piano dell’inquinamento, della produzione di energia, della gestione dei rifiuti ecc. nelle aziende e per i cittadini. Tuttavia, il cambiamento passa anche e soprattutto attraverso l’educazione, l’informazione e la cultura. Condividi questo ragionamento? Che cosa puoi fare come consulente esperto di risorse umane per favorire lo sviluppo di un pensiero e di un modo di intendere il business diverso e più sostenibile? Che consigli potresti dare a chi esercita una leadership per sviluppare gli atteggiamenti necessari per sviluppare innovativi modelli di business o nuovi di stili di vita più sostenibili e che abbiano a riguardo un maggior grado di civiltà?
Domandona! Condivido il tuo ragionamento, pienamente.
Cosa possiamo fare come consulenti, o meglio come esperti di processo, cioè capaci di rendere esplicita la catena di eventi materiali ed immateriali che generano valore?
Certamente accompagnare gli imprenditori, e non solo, ad immaginare il mondo che desiderano. Mica è scontato riuscire a visualizzare uno scenario ambito, arricchendolo di dettagli e di sano protagonismo. Non è facile, ma è importante. Ed altrettanto importante, come passo successivo, riuscire a mettere in rilievo quali comportamenti, stili direzionali e scelte imprenditoriali vanno nella direzione di quel desiderio, concretizzandolo anche in piccoli passi.
Oggi la leadership si gioca sul piano dei valori, del riuscire a trasmettere agli altri le cose in cui credi e ad orientare in modo sano e onesto i comportamenti affinché i collaboratori sentano di contribuire a qualcosa di bello e positivo per loro stessi e per il mondo.
Entrano in gioco abilità comunicative ed organizzative importantissime. L’imprenditore diventa un facilitatore, ben oltre il professionista. Ed è un nuovo mestiere da imparare.
Si sta alzando la sensibilità verso i prodotti ed i servizi sostenibili, i clienti finali sono spesso orientati alle scelte di qualità e trasparenza.
Al giorno d’oggi esistono strumenti e tecniche per ottimizzare i processi produttivi e rendere il business redditivo, ci sono tantissime possibilità di formazione e sperimentazione.
Ma il primo passo è sempre lo stesso: che mondo desideri? E tu, attraverso il lavoro della tua azienda, in che modo vuoi contribuire a renderlo possibile?