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Di seguito il testo del mio articolo pubblicato su Il Quotidiano del Friuli Venezia Giulia di martedì 28 aprile 2014.

Ristrutturare le aziende familiari in difficoltà: specificità e modelli di riferimento

Elementi quali la contrazione del mercato, la presenza di nuove tecnologie, la riduzione del fabbisogno di alcuni prodotti e servizi, il cambio delle relazioni di forza con clienti e fornitori, oltre che fattori interni determinano in alcune aziende a conduzione familiare situazioni critiche che richiedono interventi di ristrutturazione diretti a ripensare l’organizzazione e il proprio business.

Per le imprese che si trovano in queste circostanze, infatti, è necessario avviare un cambiamento sostanziale, rapido e sostenibile nel tempo; una svolta decisiva capace di ridisegnare il proprio business riportando l’azienda alla profittabilità.

Occorre, tuttavia, porre attenzione alle specificità delle ristrutturazioni nel contesto delle aziende familiari. Un approccio “business first” che utilizza i principi consolidati del management per garantire la sopravvivenza dell’impresa è fondamentale.

Diversi i modelli che possono essere proposti, anche se, nella mia esperienza di consulente di management, quello preferibile è quello descritto da Josef Nierling, l’amministratore delegato di Porsche Consulting. Tale approccio alle crisi nelle aziende familiari trova il suo fondamento in tre momenti d’azione:

  • La creazione di un piano di turnaround
  • Il ridisegno organizzativo
  • Il sistema di controllo

Il piano di turnaround è il punto di partenza: indispensabile partire da un’analisi organizzativa cominciando anche, in parallelo, a impostare il ridisegno organizzativo. L’analisi dovrà essere rapida e semplice e capace di evidenziare le ragioni della perdita di profittabilità, la sostenibilità futura del business e le principali leve di azione immediata. Questa fase, che può durare alcuni mesi, passa attraverso la riduzione dei costi, il ridimensionamento aziendale e la rigenerazione del cash flow positivo. In seguito, si passa alla standardizzazione dei processi e al ritorno alla profittabilità, condizioni di base per rielaborare la propria strategia ed effettuare nuovi investimenti.

Nel ridisegno organizzativo è fondamentale concentrarsi sull’individuazione delle responsabilità delle persone da coinvolgere garantendo la velocità decisionale. Una gestione collegiale con lo scopo di salvaguardare le relazioni familiari, è sconsigliabile perché renderebbe lento e difficoltoso il processo decisionale. Per questo motivo, talvolta, è preferibile delegare la transizione del periodo di crisi a manager specializzati.

Il terzo elemento, è il sistema di ripartizione degli obiettivi e il loro controllo. È necessario progettare un sistema di report semplici e di feedback veloci per monitorare il grado di raggiungimento degli obiettivi.

In conclusione, questo modello insegna che per superare le crisi aziendali sono necessari metodi strutturati, disciplina e orientamento agli obiettivi.

Il mio contributo a Il Quotidiano del Friuli Venezia Giulia del 18 febbraio.

Start-up: riflessioni per accelerare la crescita
 Il numero delle start-up innovative è in costante aumento in Italia ed, oltre alle società già costituite, esiste una florida realtà di pre start-up rappresentata da un patrimonio di giovani team con idee imprenditoriali che si formano nelle numerose business plan competition, nei programmi di incubazione e accelerazione.
Secondo dati recenti, si calcolano 1.478 start-up innovative iscritte negli ultimi mesi nei registri delle camere di commercio e 1.082 spin-off creati dai risultati della ricerca pubblica. Altre indagini ci dicono che 50% delle start-up innovative sono localizzate al Nord, il 36% al Centro e il 14% al Sud e che gli investimenti totali nelle start-up hi-tech nel 2012 sono stati pari a 112 milioni di Euro mentre il dato stimato per il 2013 è di 110 milioni circa. Importante evidenziare che, fatto cento l’investimento totale in queste start-up nel corso del 2012, il 71% delle risorse proviene da investitori istituzionali e solo il restante 29% da business angels, incubatori e acceleratori di business. Interessante anche notare che osservando il background e l’età dei fondatori delle start-up, si può constatare che ben l’83% dei fondatori ha un passato o un’esperienza di natura manageriale mentre il restante 17% un background di natura tecnica.
Naturalmente, la realtà presenta anche i suoi punti dolenti se non altro perché la trasformazione del valore economico attribuibile all’idea imprenditoriale in generazione di fatturato rimane molto difficile: la stragrande maggioranza delle start-up innovative produce un  fatturato inferiore ai 100 mila euro. Con un po’ di coraggio è opportuno affrontare la questione e contribuire al dibattito con alcune riflessioni.
In primo luogo, è necessario sviluppare legami tra start-up e aziende di dimensioni almeno medie che dispongono di capacità finanziaria,  sono dotate di modelli gestionali e organizzativi consolidati, sono presenti sui mercati esteri e devono cercare soluzioni innovative per rimanere competitive. Queste aziende, inoltre, dispongono di competenze manageriali e di relazioni strategiche e commerciali fondamentali per trasformare il valore delle idee innovative in fatturato.
In secondo luogo, il focus strategico deve essere spostato dalla tecnologia all’esistenza di una domanda concreta di bisogni espliciti e reali da soddisfare. L’idea che le start-up debbano essere imprese super-tecnologiche e concentrate  nelle comunità di innovatori giova più a un approccio mediatico che economico.
Infine, è decisivo sviluppare da subito fatturato perché esso valida l’utilità del progetto imprenditoriale e del prodotto o servizio. Uno sviluppo repentino delle vendite è preferibile anche a dei sussidi generalizzati alle prime fasi di operatività. Necessario, quindi, creare occasioni per la sperimentazione sul campo del prodotto o servizio verificandone l’accettazione da parte del futuro cliente e le condizioni alle quali questo è disposto ad acquistare.

 

 

Convegno APCO – Innovare per competere

Si terrà mercoledì prossimo,  26 Febbraio 2014, Palazzo Torriani (sede di Confindustria Udine) la seconda tappa del road-show di presentazione del libro APCO (Associazione professionale italiana consulenti di management) del Friuli Venezia Giulia intitolato ”INNOVARE PER COMPETERE – CONTRIBUTI DAI CONSULENTI DI MANAGEMENT APCO DEL FRIULI VENEZIA GIULIA PER USCIRE MIGLIORI DALLA CRISI”.

Interverranno all’incontro, aperto al pubblico, il presidente del Gruppo Giovani imprenditori di Confindustria UdineMassimiliano Zamò, e il Delegato alla Cultura dell’Associazione Damiano Ghini. Dopo la presentazione di APCO da parte di Carlo Baldassi, delegato APCO Friuli Venezia Giulia, seguirà la presentazione del volume a cura degli autori: lo stesso Carlo Baldassi, Federico Barcherini, Alessandro Braida, Lionel Cividino, Michele Degrassi e Rudi Vittori.

VENERDI’ 31 GENNAIO 2014 alle ore 11.30 presso Pordenone Fiere – saletta padiglione 9 ci sarà la presentazione del libro

a cura della delegazione APCO – Associazione professionale italiana consulenti di management del Friuli Venezia Giulia

www.apcoitalia.it

 

La delegazione Friuli Venezia Giulia di APCO è in fase di pubblicazione del suo primo volume “Innovare per competere – Contributi dai consulenti di management APCO del Friuli Venezia Giulia per uscire migliori dalla crisi”. La pubblicazione, redatta da sei consulenti di direzione Soci APCO (Carlo Baldassi, Federico Barcherini, Alessandro Braida, Lionel Cividino, Michele Degrassi, Rudi Vittori), verrà presentata nei mesi di febbraio e marzo presso associazioni di categoria, parchi scientifici e tecnologici, università ed enti fieristici della regione. Seguiranno comunicazioni con le date delle presentazioni.

1234041_10151619103648931_293268418_nDi seguito il mio contributo per Il Quotidiano FVG del 22 ottobre 2013.

Il contratto di rete e la necessità di gestire le numerose relazioni

Come è noto, la piccola dimensione delle imprese italiane spesso genera inefficienza a causa del costo dell’elevato numero di relazioni e di transazioni da gestire all’interno delle filiere, siano esse orizzontali o verticali. Inoltre, in un’economia dove il vantaggio competitivo per le imprese dei paesi avanzati si basa sulla conoscenza e sulla smaterializzazione del valore e dove si vendono idee, creatività e servizi (e non solo prodotti materiali) vanno favoriti i percorsi di condivisione delle informazioni commerciali, la ricerca pre-competitiva, le collaborazioni allo sviluppo di prodotti e servizi innovativi e le attività di ricerca e sviluppo svolte in comune.
Situazioni di mancanza di fiducia tra imprese e tra queste e i loro interlocutori (banche, clienti, fornitori, enti e istituzioni pubbliche) non sono, quindi, più sostenibili; assume rilievo, invece, la capacità di agire in modo coordinato, elevando la propensione a dialogare, a negoziare e a stipulare accordi reciproci profittevoli. Fare rete diventa un efficace antidoto contro la crisi perché permette di aumentare il fatturato, di sfruttare economie di scala e, talvolta, di allentare la stretta del credito bancario. Per questa ragione cresce l’attenzione riposta sugli strumenti quali i consorzi, le ATI (associazioni temporanee d’impresa) e il contratto di rete sia da parte delle istituzioni come la Regione, le Camere di Commercio, e le associazioni di imprenditori sia delle società di servizi e dei consulenti legali, fiscali e manageriali.
I progetti di aggregazione, tuttavia, presentano anche delle criticità perché impongono una modifica nell’approccio culturale esistente che rimane ancora avverso ai raggruppamenti. Considerato sotto questo aspetto, il contratto di rete è uno strumento giuridico che consente di perseguire strategie di aggregazione tra imprese senza il vincolo di costituire un nuovo soggetto e preservando l’identità delle singole aziende aderenti; esso, infatti, permette ai partecipanti di scegliere in autonomia la governance e le altre caratteristiche della rete e, a condizione che ci si basi su regole di collaborazione predefinite ed economicamente convenienti, rende possibili aggregazioni fondate su vincoli deboli fra i partner e sulla possibilità di decidere con pariteticità.
Questo strumento giuridico deve essere utilizzato in maniera appropriata poiché sposta il focus decisionale e operativo dalle singole imprese alle loro aggregazioni. Esso, di conseguenza, richiede un’attività di coordinamento a cura del manager di rete (alliance manager), figura che dovrà possedere le competenze per governare le relazioni tra tutti i soggetti della rete, armonizzare i diversi interessi in campo, progettare lo sviluppo commerciale della rete, elaborare le strategie, i piani e le iniziative dell’organizzazione, curare l’analisi dei bisogni dei soci e, in definitiva, promuovere il conseguimento degli obiettivi imprenditoriali degli associati.

Alessandro Braida

Lunedì 7 Ottobre dalle ore 18.30 alle ore 21.30 presso l’ente Ricerca e Formazione della Camera di Commercio di Udine si terrà il workshop “LE RETI D’IMPRESA: UNO STRUMENTO PER LA CRESCITA E LO SVILUPPO DELLE PMI”. Relatori saranno l’avv. Pietro Amico (Consulente legale per l’impresa), il dott. Alessandro Braida (Consulente di Management certificato APCO-CMC) e il dott. Federico Barcherini (Consulente di Management certificato APCO-CMC).

Per maggiori informazioni ed iscrizioni: http://www.ricercaeformazione.it/ricercaeformazione/corso.jsp?idCorso=809 

Lunedì 30 Settembre 2013 alle ore 16.30 presso Udine Fiere, Centro Congressi – sala 2° p. (ingresso sud), APCO organizza il workshop:

INTERNAZIONALIZZARE LE PMI I CONSULENTI DI MANAGEMENT A FIANCO DELLE AZIENDE E DELLE ISTITUZIONI

Mercoledì 11 settembre dalle ore 18.30 alle 21.30 presso l’ente Ricerca e Formazione di Udine sarò tra i relatori del corso “LE RETI D’IMPRESA: UNO STRUMENTO PER LA CRESCITA E LO SVILUPPO DELLE PMI”.

Per maggiori informazioni ed iscrizioni:
http://www.ricercaeformazione.it/ricercaeformazione/corso.jsp?idCorso=796

La principale difficoltà nella fase d’avvio di una nuova impresa (start-up) è, quasi sempre, la stessa: trovare i finanziamenti per sostenere gli investimenti necessari a concretizzare l’idea imprenditoriale. Le forti capacità tecniche e la stessa idea innovativa proprie di una start-up si scontrano, infatti, con un altrettanto forte bisogno di capitali e con pochi beni da porre come garanzia per ottenere credito.

Il fabbisogno di mezzi finanziari, inoltre, non si esaurisce con il superamento della fase iniziale d’avvio, perché spesso serve liquidità anche per supportare la fase di sviluppo e crescita successiva. Come consulente di management ho affiancato diverse start-up è ho riscontrato che molte non decollano a causa delle difficoltà commerciali, pur avendo un ottimo prodotto. In altre parole, la ricerca di risorse finanziarie necessarie per sostenere gli sforzi per la costruzione della rete di vendita si rivela difficoltosa e non spesso trova successo.

L’analisi che emerge, pertanto, ci porta a pensare che è preferibile concentrarsi sulle strategie di business piuttosto che sulla ricerca di investitori. Questa è anche la lezione che John Mullins, professore associato alla London Business School, propone in un recente articolo pubblicato nella rivista Harvard Business Review. Da un’attenta esamina di casi aziendali egli afferma che, in alcune start-up di successo, il business model è strutturato in modo tale che gli anticipi pagati dai clienti aiutano a finanziare la crescita. In pratica, così come fanno alcuni studi professionali, la chiave è farsi pagare in anticipo per finanziarsi, prima di impiegare risorse su propri prodotti e servizi.

Di fronte ai casi di molte start-up che dedicano troppo tempo alla ricerca di finanziamenti e ne spendono troppo nello sviluppo dei prototipi, Mullins presenta cinque modelli alternativi validi in precisi settori commerciali. Tali modelli sono denominati “Il sensale”, “Su deposito”, “Su abbonamento”, “Standardizza e rivendi” e “Scarsità”.

“Il sensale”: adatto nei contesti nei quali c’è bisogno di un intermediario che colleghi venditori e acquirenti come nel caso di eBay e del social lending Zopa.

“Su deposito”: da usare nei contesti in cui il lavoro si articola nel tempo piuttosto che con una singola transazione. Da segnalare l’esperienza del sito web per le prenotazioni online Expedia.

“Su abbonamento”: valido per business che prevedono la vendita di beni di consumo (verdure biologiche, vitamine ecc.) o servizi d’intrattenimento.

“Standardizza e rivendi”: utilizzabile nei contesti nei quali un servizio o un prodotto su misura per un cliente può essere riadattato e venduto a un gruppo di acquirenti più ampio come nel caso della piattaforma di branded entertainment globale Be On.

“Scarsità”: importante in contesti dalla rapida obsolescenza di prodotti e mode come nel mercato dell’abbigliamento (Zara).

 

Alessandro Braida

Consulente di Management CMC-APCO