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La recente pubblicazione della “Ricerca Nazionale sulle Società Benefit 2024” realizzata da Nativa in collaborazione con altri partner – Intesa San Paolo, Infocamere, Il Dipartimento di Scienze Economiche e Aziendali Marco Fanno, la Camera di commercio di Brindisi e Taranto e Assobenefit, analizza la performance e l’evoluzione delle Società Benefit in Italia tra il 2019 e il 2022. La ricerca evidenzia la crescita significativa di queste aziende e il loro impatto positivo sull’economia e sulla società.

Negli ultimi anni, le Società Benefit hanno guadagnato rilevanza come modello imprenditoriale innovativo che combina la ricerca del profitto con l’impegno a generare impatti positivi sulla società e sull’ambiente. Introdotte per la prima volta negli Stati Uniti nel 2010, queste imprese hanno trovato terreno fertile in Italia, dove sono state formalmente riconosciute nel 2016. Da allora, l’adozione di questo modello nel paese è cresciuta esponenzialmente, come evidenziato nella ricerca.

Cosa sono le Società Benefit?

Le Società Benefit sono imprese che, oltre a perseguire il profitto, hanno l’obbligo legale di generare benefici sociali e ambientali. Questo impegno è formalizzato includendo tali obiettivi nel loro statuto. La legge italiana, ispirata alla legislazione statunitense, è stata pioniera in Europa nel permettere alle aziende di adottare ufficialmente questo modello, impegnandosi in pratiche di responsabilità, sostenibilità e trasparenza.

Crescita e Performance Economica

Secondo la ricerca, il numero di Società Benefit in Italia è passato da circa 400 nel 2019 a oltre 3.600 nel 2023. Questa crescita è accompagnata da una performance economica notevole. Tra il 2019 e il 2022, le Società Benefit hanno registrato un aumento medio del fatturato del 37%, rispetto al 18% delle aziende non-benefit. L’EBITDA margin (margine prima degli interessi, delle imposte, del deprezzamento e degli ammortamenti) delle Società Benefit ha superato quello delle non-benefit, passando dall’8,5% al 9%, mentre le non-benefit hanno visto un aumento dall’8,1% all’8,3%.

Inoltre, queste imprese hanno dimostrato una produttività maggiore, con un valore aggiunto per dipendente di 62.000 euro, rispetto ai 57.000 euro delle non-benefit. Questo si traduce in una maggiore capacità di remunerare i propri dipendenti, con un costo medio del lavoro per dipendente di 41.000 euro per le Società Benefit, rispetto ai 38.000 euro delle non-benefit.

Settori e Dimensioni

La ricerca ha anche evidenziato la distribuzione settoriale e dimensionale delle Società Benefit, mostrando una vasta varietà di settori e un impatto significativo sulle grandi imprese. Il modello si è rivelato versatile, essendo adottato da aziende di diverse dimensioni e settori, rafforzando l’idea che è possibile allineare redditività e sostenibilità in qualsiasi contesto imprenditoriale.

Impatto Sociale e Ambientale

Uno degli aspetti più importanti delle Società Benefit è il loro impegno verso l’impatto sociale e ambientale. Queste imprese investono significativamente nella sostenibilità, dall’adozione di pratiche ecologiche allo sviluppo di brevetti e all’internazionalizzazione. Questo crea basi solide per una performance sostenibile a lungo termine, beneficiando sia gli azionisti che la società in generale.

Prospettive per il Futuro

Le Società Benefit rappresentano un’evoluzione nel panorama imprenditoriale, combinando la tradizione imprenditoriale italiana con un approccio moderno di responsabilità sociale e ambientale. Questo modello non solo si allinea con i valori contemporanei di sostenibilità, ma offre anche una performance economica robusta.

La ricerca suggerisce che le Società Benefit hanno il potenziale per trasformare profondamente l’ambiente imprenditoriale, promuovendo un nuovo paradigma che pone il bene comune al centro delle strategie di business. Man mano che più aziende adottano questo modello, ci si aspetta che il loro impatto positivo si ampli, beneficiando una gamma ancora più ampia di stakeholder.

Per il futuro, è cruciale continuare a studiare e promuovere le Società Benefit, comprendendo meglio le loro dinamiche e incoraggiando altre imprese a seguire questo percorso. La “Ricerca Nazionale sulle Società Benefit 2024” è un passo importante in questa direzione, offrendo intuizioni preziose sulla performance e sulle pratiche di queste imprese innovative.

Fonti

https://www.societabenefit.net/gli-investitori-delle-societa-benefit/https://nativalab.com/stories/e-online-la-ricerca-nazionale-sulle-societa-benefit-2024/

In un ambiente aziendale dinamico come quello odierno, gestire efficacemente i cambiamenti è essenziale. John Kotter, professore della Harvard Business School, ha sviluppato un modello in otto fasi per aiutare i leader a gestire con successo i cambiamenti. 

Esploriamo come e quando applicarlo.

            1.         Creare un senso di urgenza

Il primo passo è creare un senso di urgenza riguardo alla necessità di cambiamento, evidenziando i rischi del non agire. Questo mobilita i dipendenti a uscire dallo status quo.

            2.         Formare una coalizione potente

Un team influente e coinvolto deve guidare il cambiamento, comunicando e sostenendo la nuova direzione.

            3.         Sviluppare una visione strategica

La visione deve essere chiara, ispirata e allineata con gli obiettivi dell’organizzazione, supportata da strategie concrete.

            4.         Comunicare la visione

La comunicazione deve essere continua, utilizzando diversi canali per garantire che tutti comprendano e si allineino alla nuova visione.

            5.         Rimuovere gli ostacoli

Identificare ed eliminare le barriere che potrebbero ostacolare il progresso, come processi obsoleti o mancanza di risorse.

            6.         Generare vittorie a breve termine

Celebrare i piccoli successi lungo il percorso aumenta il morale e dimostra che il cambiamento sta funzionando.

            7.         Consolidare i cambiamenti e produrre altre trasformazioni

Continuare ad ampliare i cambiamenti dopo le prime vittorie, evitando di dichiarare il successo troppo presto.

            8.         Incorporare il cambiamento nella cultura organizzativa

Affinché il cambiamento sia duraturo, deve essere integrato nei valori e nei comportamenti dell’organizzazione.

Quando utilizzare il modello di Kotter

Il modello di Kotter è particolarmente efficace in situazioni di cambiamento strutturale e profondo, che coinvolgono più aree dell’organizzazione e richiedono un processo graduale e ben gestito. È utile quando l’organizzazione si aspetta una resistenza al cambiamento e ha bisogno di un approccio sistematico per superarla. Studi suggeriscono che il modello funziona meglio in contesti in cui è necessario un cambiamento culturale e organizzativo ampio, in particolare in ambienti più grandi e complessi (Kotter, 1996).

Quando evitare il modello di Kotter

Questo modello potrebbe non essere adatto in contesti dove i cambiamenti devono essere rapidi e meno strutturati, o in piccole organizzazioni con gerarchie meno definite, dove la resistenza al cambiamento è minima e la rapidità è prioritaria. In questi casi, approcci più agili e meno formali potrebbero essere più indicati (Kotter, 1996).

Un caso di studio: Beth Israel Deaconess Medical Center

Un esempio concreto dell’applicazione del modello di Kotter si trova nel Beth Israel Deaconess Medical Center (BIDMC), un ospedale di Boston che alla fine degli anni ’90 affrontava una grave crisi finanziaria. Il CEO Paul Levy ha utilizzato diverse fasi del modello per guidare la trasformazione.

Levy ha inizialmente creato un senso di urgenza comunicando chiaramente ai dipendenti la crisi finanziaria dell’ospedale. Ha formato una coalizione di leader influenti per sostenere la visione di recupero, basata sull’efficienza e sulla riduzione dei costi, senza compromettere la qualità del servizio. Attraverso una comunicazione continua e trasparente, Levy ha coinvolto i dipendenti e ha dato loro il potere di agire.

Celebrando le vittorie iniziali, come il miglioramento dell’efficienza, Levy ha consolidato i progressi e ha continuato a implementare cambiamenti. Infine, queste nuove pratiche sono state integrate nella cultura organizzativa, garantendo la sostenibilità del cambiamento a lungo termine.

Conclusione

Il modello di Kotter rappresenta un approccio strutturato e dettagliato per gestire il cambiamento all’interno delle organizzazioni, soprattutto quando si affrontano trasformazioni complesse e di lungo termine. Attraverso l’implementazione delle sue otto fasi, le aziende possono non solo superare le resistenze, ma anche creare una cultura di miglioramento continuo. Come dimostrato dal caso del Beth Israel Deaconess Medical Center, seguire questo modello ha permesso di affrontare con successo una crisi finanziaria, consolidando cambiamenti profondi e sostenibili. Pertanto, il modello di Kotter si rivela uno strumento prezioso per i leader che desiderano guidare le proprie organizzazioni verso il successo in tempi di sfide significative.

Fonti

Kotter, John P. – Dan S. Cohen – Al cuore del cambiamento. Come le persone cambiano le organizzazioni. ETAS Management (2003)

Kotter, John P. (1996). Leading Change. Harvard Business Review Press.

Kotter, J.P., & Cohen, D.S. (2002). The Heart of Change: Real-Life Stories of How People Change Their Organizations. Harvard Business Review Press.

Il Friuli Business ha pubblicato una mia intervista incentrata sui risultati della recente indagine che la delegazione APCO del Friuli Venezia Giulia ha realizzato presso un campione locale di PMI. I risultati fotografano le tendenze nei rapporti fra la consulenza di management e le PMI dopo gli anni di crisi economica. L’intervista è visibile al seguente link (pagina 20): http://ita.calameo.com/read/001242958d4e1f988bea1

Di seguito il mio contributo per “Realtà Industriale”, mensile ufficiale di Confindustria Udine, di Febbraio 2015

Anche per l’economia della nostra regione è in atto un processo di radicale cambiamento ovvero un riposizionamento competitivo attraverso la specializzazione delle imprese nei segmenti produttivi a più elevato contenuto innovativo.

Con questa consapevolezza, la giunta regionale ha recentemente approvato un disegno di legge denominato “Rilancimpresa” su proposta del vicepresidente e assessore alle attività produttive Sergio Bolzonello, che ha definito questa riforma delle politiche industriali come una prima legge complessiva della Regione espressamente dedicata al comparto industriale.

Il disegno di legge ha ottenuto una sostanziale approvazione del suo impianto normativo generale nel corso dei successivi tavoli delle concertazioni tra parti sociali e amministrazione regionale. Gli intervenuti, tuttavia, hanno comunque inteso fornire puntuali indicazioni per approfondire alcuni aspetti: in particolare, sono stati proposti maggiori spazi di interazione con il sistema economico regionale nel settore dell’internazionalizzazione (Matteo Tonon, Confindustria Udine); è stata richiesta un’ulteriore semplificazione amministrativa (Giuseppe Graffi Brunoro, ABI- Associazione Bancaria Italiana FVG) e un inasprimento dei vincoli alle imprese che intendono delocalizzare (Franco Belci, CGIL); è stata segnalata la necessità di una gestione coordinata delle aree industriali e artigianali extra Consorzi (Graziano Tilatti, Confartigianato) e a più voci è stata sollecitata l’adozione del Piano Energetico Regionale (PER) ed è stata ribadita la necessità di una incisiva politica delle infrastrutture.

Con il testo del disegno di legge si individuano quattro pilastri di intervento: attrattività, sviluppo, semplificazione e ridefinizione dei sistemi produttivi locali. Emerge, quindi, la volontà di perseguire obiettivi quali il sostegno della competitività e della creazione dell’occupazione attraverso la gestione delle persistenti situazioni di crisi e il rilancio del sistema manifatturiero che dovrà diventare “tecnologicamente avanzato, rinnovato nei processi produttivi, innovativo nelle produzioni, presente sui mercati emergenti, capace di creare valore aggiunto e di difendere e sviluppare l’occupazione”. La ricchezza delle specializzazioni tradizionali potrà coniugarsi con le nuove tecnologie, con le opportunità dell’ICT, della green economy, facendo rete con altre imprese anche in una logica di filiera.

Rileggendo il piano di sviluppo del settore industriale presentato dalla Regione lo scorso anno, e che ha ispirato il disegno di legge, vanno menzionate alcune azioni guida: il fare sistema, sostenere le PMI e le specializzazioni del manifatturiero, nuove imprese e start up innovative, attrarre nuovi investimenti, innovare, rilanciare gli investimenti, internazionalizzare e semplificare. In particolare, considerando la necessità di fare sistema vengono richiamati i ruoli di enti come Friulia, Mediocredito del Friuli Venezia Giulia, Finest, i Confidi, Informest, BIC che dovranno, così come anche le Camere di Commercio, assicurare un efficace sistema coordinato di incentivazione delle imprese nelle aree di intervento ritenute prioritarie, nel rispetto dei ruoli istituzionali. Relativamente al sostegno delle PMI e del rilancio del manifatturiero emerge la necessità di rafforzare l’impegno dell’amministrazione regionale nell’attuazione dei principi guida dello Small Business Act a favore delle piccole e medie imprese nonché di procedere ad una revisione del ruolo dei distretti per accompagnarli verso formule di aggregazione capaci di elevare le competitività delle filiere produttive. Riguardo all’internazionalizzazione l’impegno della regione sarà quello di favorire la diffusione della conoscenza degli strumenti agevolativi in materia di commercio estero e di internazionalizzazione disponibili, attraverso il rafforzamento di iniziative di scambio e confronto sulle iniziative nazionali e internazionali attivate per favorire i processi di internazionalizzazione.

Se da un lato la politica intende attivare strumenti e azioni che mirano a realizzare un contesto ambientale più favorevole per le imprese, dall’altro gli imprenditori e i manager dovranno affrontare positivamente il cambiamento (organizzativo, tecnologico o commerciale) per innovare le capacità competitive dell’azienda. Dovranno attrezzarsi con nuove competenze e visioni strategiche di più ampio respiro, anche collaborando con professionisti qualificati (esistono ad esempio associazioni non ordinistiche, come APCO – Associazione Professionale Consulenti di Organizzazione e direzione aziendale – che certificano le competenze dei professionisti associati) capaci di erogare servizi di business a forte intensità di conoscenze (i cosiddetti KIBS – Knowkedge Intensive Based Services) e di agevolare la capacità delle imprese di utilizzare gli strumenti che la Regione metterà in campo.

 

Il consulente di management CARLO BALDASSI ci offre alcune riflessioni che sono raccolte nel suo ultimo libro “I FERRI DEL MESTIERE. Proposte e strumenti per gestire il cambiamento”.

http://www.confartigianatovicenza.it/sala-stampa/riascoltiamoli

VENERDI’ 31 GENNAIO 2014 alle ore 11.30 presso Pordenone Fiere – saletta padiglione 9 ci sarà la presentazione del libro

a cura della delegazione APCO – Associazione professionale italiana consulenti di management del Friuli Venezia Giulia

www.apcoitalia.it

 

La delegazione Friuli Venezia Giulia di APCO è in fase di pubblicazione del suo primo volume “Innovare per competere – Contributi dai consulenti di management APCO del Friuli Venezia Giulia per uscire migliori dalla crisi”. La pubblicazione, redatta da sei consulenti di direzione Soci APCO (Carlo Baldassi, Federico Barcherini, Alessandro Braida, Lionel Cividino, Michele Degrassi, Rudi Vittori), verrà presentata nei mesi di febbraio e marzo presso associazioni di categoria, parchi scientifici e tecnologici, università ed enti fieristici della regione. Seguiranno comunicazioni con le date delle presentazioni.