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Il mio contributo a Il Quotidiano del Friuli Venezia Giulia del 10 giugno.

L’elemento culturale come criticità nell’aggregazione a rete

La globalizzazione dei mercati impone un’economia dove le imprese fronteggiano la concorrenza generando nuovo valore aggiunto. La smaterializzazione del valore, infatti, ha creato un’economia della conoscenza dove si vendono idee, creatività e servizi, e non unicamente prodotti materiali. In questo contesto, la piccola dimensione aziendale e l’elevata specializzazione si sono trasformati da punti di forza in alcuni tra i principali ostacoli allo sviluppo economico del nostro Paese.

L’introduzione legislativa del contratto di rete, forma giuridica finalizzata a facilitare le aggregazioni conservando al contempo l’autonomia delle imprese, rappresenta una possibile soluzione che permette l’accrescimento della capacità innovativa e della competitività del sistema economico.

Il contratto di rete consente, infatti, di instaurare forme diverse di cooperazione che vanno dallo scambio di informazioni e prestazioni e dalle collaborazioni in diversi ambiti all’esercizio in comune di alcune attività; l’obiettivo, pertanto, è potenziare il profilo dimensionale delle imprese in rete, pur mantenendo quella flessibilità organizzativa, assente nella grande impresa integrata verticalmente.

Nella realtà, tuttavia, qualsiasi processo aggregativo riscontra importanti criticità prevalentemente connesse con l’abbandono della mentalità individualistica e quindi con le difficoltà di coordinamento dell’attività di rete. Si ritiene, in particolare nel sistema economico friulano, che la cultura locale sia particolarmente sfavorevole alle aggregazioni. Va detto, altresì, che il processo di costruzione di relazioni e di rapporti di cooperazione non è mai frutto di un’evoluzione spontanea degli eventi, ma è il risultato della convergenza di strategie individuali, di strategie collettive e del lavoro di istituzioni e consulenti chiamati a regolare l’interazione tra i vari attori in gioco. Se l’individualismo è davvero un ostacolo culturale da rimuovere, occorre porsi alcune domande:

–       Quali relazioni caratterizzano i rapporti tra le imprese dei diversi settori?

–       Quali relazioni esistono tra queste aziende e le istituzioni pubbliche e private?

–       Quali sono le strategie individuali e collettive in atto?

In definitiva, se una marcata presenza di gruppi sociali legati da un’identità forte, frutto di processi di cooperazione passati o ancora attuali, avvenuti in ambito anche non strettamente economico agevolano i percorsi aggregativi, esistono nel territorio legami sociali più deboli, cioè meno intensi e più occasionali, che caratterizzano probabilmente la maggior parte delle relazioni economiche. Sotto questo aspetto, si rivelano come prioritarie le soluzioni finalizzate a strutturare le relazioni ed efficaci, oltre che nel valorizzare le strategie individuali e collettive in corso, nel sistematizzare l’interazione tra gli attori.

1234041_10151619103648931_293268418_nDi seguito il mio contributo per Il Quotidiano FVG del 22 ottobre 2013.

Il contratto di rete e la necessità di gestire le numerose relazioni

Come è noto, la piccola dimensione delle imprese italiane spesso genera inefficienza a causa del costo dell’elevato numero di relazioni e di transazioni da gestire all’interno delle filiere, siano esse orizzontali o verticali. Inoltre, in un’economia dove il vantaggio competitivo per le imprese dei paesi avanzati si basa sulla conoscenza e sulla smaterializzazione del valore e dove si vendono idee, creatività e servizi (e non solo prodotti materiali) vanno favoriti i percorsi di condivisione delle informazioni commerciali, la ricerca pre-competitiva, le collaborazioni allo sviluppo di prodotti e servizi innovativi e le attività di ricerca e sviluppo svolte in comune.
Situazioni di mancanza di fiducia tra imprese e tra queste e i loro interlocutori (banche, clienti, fornitori, enti e istituzioni pubbliche) non sono, quindi, più sostenibili; assume rilievo, invece, la capacità di agire in modo coordinato, elevando la propensione a dialogare, a negoziare e a stipulare accordi reciproci profittevoli. Fare rete diventa un efficace antidoto contro la crisi perché permette di aumentare il fatturato, di sfruttare economie di scala e, talvolta, di allentare la stretta del credito bancario. Per questa ragione cresce l’attenzione riposta sugli strumenti quali i consorzi, le ATI (associazioni temporanee d’impresa) e il contratto di rete sia da parte delle istituzioni come la Regione, le Camere di Commercio, e le associazioni di imprenditori sia delle società di servizi e dei consulenti legali, fiscali e manageriali.
I progetti di aggregazione, tuttavia, presentano anche delle criticità perché impongono una modifica nell’approccio culturale esistente che rimane ancora avverso ai raggruppamenti. Considerato sotto questo aspetto, il contratto di rete è uno strumento giuridico che consente di perseguire strategie di aggregazione tra imprese senza il vincolo di costituire un nuovo soggetto e preservando l’identità delle singole aziende aderenti; esso, infatti, permette ai partecipanti di scegliere in autonomia la governance e le altre caratteristiche della rete e, a condizione che ci si basi su regole di collaborazione predefinite ed economicamente convenienti, rende possibili aggregazioni fondate su vincoli deboli fra i partner e sulla possibilità di decidere con pariteticità.
Questo strumento giuridico deve essere utilizzato in maniera appropriata poiché sposta il focus decisionale e operativo dalle singole imprese alle loro aggregazioni. Esso, di conseguenza, richiede un’attività di coordinamento a cura del manager di rete (alliance manager), figura che dovrà possedere le competenze per governare le relazioni tra tutti i soggetti della rete, armonizzare i diversi interessi in campo, progettare lo sviluppo commerciale della rete, elaborare le strategie, i piani e le iniziative dell’organizzazione, curare l’analisi dei bisogni dei soci e, in definitiva, promuovere il conseguimento degli obiettivi imprenditoriali degli associati.

Alessandro Braida

Di seguito il mio contributo per “Realtà Industriale”, mensile ufficiale di Confindustria Udine, di Ottobre 2013.

“Aggredire i mercati esteri e migliorare la propria posizione competitiva nel mercato interno richiedono la capacità di investire energie, risorse e, soprattutto, relazioni per riorientare le scelte strategiche e commerciali delle imprese. In questo contesto, le situazioni di mancanza di fiducia tra imprese e tra queste e i loro interlocutori (banche, clienti, fornitori, enti e istituzioni pubbliche) non sono più sostenibili; assume rilievo, invece, la capacità di agire in modo coordinato, elevando la propensione a dialogare, a negoziare e a stipulare accordi reciproci profittevoli e generando, in tal modo, una discontinuità rispetto al passato.
Come è noto, la piccola dimensione delle imprese italiane spesso genera inefficienza a causa del costo dell’elevato numero di relazioni e di transazioni da gestire all’interno delle filiere, siano esse orizzontali o verticali. Inoltre, in un’economia dove il vantaggio competitivo per le imprese dei paesi avanzati si basa sulla conoscenza e sulla smaterializzazione del valore e dove si vendono idee, creatività e servizi (e non solo prodotti materiali) vanno favoriti i percorsi di condivisione delle informazioni commerciali, la ricerca pre-competitiva, le collaborazioni allo sviluppo di prodotti e servizi innovativi e le attività di ricerca e sviluppo svolte in comune.
Fare rete diventa così un imperativo ricorrente e cresce l’attenzione riposta sugli strumenti quali i consorzi, le ATI (associazioni temporanee d’impresa) e il contratto di rete sia da parte delle istituzioni come la Regione, le Camere di Commercio, e le associazioni di imprenditori sia delle società di servizi e dei consulenti legali, fiscali e manageriali. Il contratto di rete si presenta come uno strumento innovativo finalizzato, da un lato, a garantire ai partecipanti la possibilità di scegliere in autonomia la governance e le altre caratteristiche della rete e, dall’altro, a permettere la possibilità di modificare in qualunque momento le stesse attività di rete.
I progetti di aggregazione, tuttavia, presentano anche delle criticità perché comportano una parziale perdita del controllo da parte dell’imprenditore e necessitano di una modifica dell’approccio culturale esistente che rimane ancora avverso ai raggruppamenti; probabilmente per questo motivo sono le reti commerciali fra aziende di dimensione simile e con produzioni complementari e sinergiche quelle che sembrano trovare maggiore diffusione. Il punto fondamentale, pertanto, si trova nella considerazione che fare rete vuol dire prima di tutto lavorare per cambiare la mentalità superando gli individualismi e recuperando una dimensione di confronto finalizzata alla condivisione di un percorso di crescita e sviluppo.
L’attività del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Udine presenta in maniera marcata quest’orientamento. Già nel programma illustrato all’atto del suo insediamento, il Presidente Massimiliano Zamò faceva riferimento alla necessità di contribuire alla costruzione di un sano sistema imprenditoriale “in quanto colonna portante di una società aperta”; sempre Zamò affermava che “la nostra associazione dovrà essere capace di costruire reti e forme di dialogo con il territorio per diventare un punto di riferimento ancora più forte attraverso il sostegno a tutte quelle iniziative che possono portare alla nascita di nuove aziende, particolarmente frutto dell’innovazione e del talento dei giovani”. Le stesse attività svolte all’interno dei gruppi di lavoro impegnando gli associati nell’organizzazione d’importanti convegni, di visite aziendali, di missioni all’estero oltre che di eventi conviviali permettono di imparare “le regole” e lo “stile confindustriale” e sono occasioni per fare amicizie che spesso diventano basi per sviluppare la propria attività. Da menzionare, infine, l’attività svolta dal comitato nazionale per lo Sviluppo delle PMI ed etica d’impresa, al quale ha preso parte il Vice Presidente del Gruppo Giovani di Udine Michele Vanin, che si è occupato di studiare i casi di successo per mettere a sistema tutti gli strumenti per lo sviluppo delle reti d’impresa. Tale lavoro, tra l’altro, è sfociato nella realizzazione di un flyer che introduce alla “Guida pratica per la creazione di una Rete d’Impresa” di Confindustria che è stato presentato al Convegno di Capri 2012 e distribuito in allegato al numero dello scorso Dicembre di Qualeimpresa.”

Lunedì 7 Ottobre dalle ore 18.30 alle ore 21.30 presso l’ente Ricerca e Formazione della Camera di Commercio di Udine si terrà il workshop “LE RETI D’IMPRESA: UNO STRUMENTO PER LA CRESCITA E LO SVILUPPO DELLE PMI”. Relatori saranno l’avv. Pietro Amico (Consulente legale per l’impresa), il dott. Alessandro Braida (Consulente di Management certificato APCO-CMC) e il dott. Federico Barcherini (Consulente di Management certificato APCO-CMC).

Per maggiori informazioni ed iscrizioni: http://www.ricercaeformazione.it/ricercaeformazione/corso.jsp?idCorso=809