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Il mio contributo pubblicato su Il Quotidiano del Friuli Venezia Giulia del 10 dicembre 2012

Anche di fronte a un exploit importante dell’economia italiana nel corso del 2013, gli sviluppi recessivi della crisi non si esauriranno nel breve termine. Inevitabile, pertanto, un aumento del rischio d’insolvenza da parte delle aziende. Questo è ciò emerge dalla recente indagine del Cerved sul rischio d’insolvenza delle società italiane realizzata attraverso l’utilizzo del Cegri (Cerved group risk index), un indice che oscilla da 1 (minimo rischio) a 100 (massimo rischio).

L’indagine si sviluppa presentando alcuni scenari economici futuri utilizzabili per stimare gli effetti che una ripresa dell’economia potrebbe avere sul rischio delle aziende italiane.

In un primo scenario di base si prevede un calo anche nel 2013 del Pil (-0,6%), per registrare solo nel 2014 un tasso di crescita positivo dell’economia (+0,5%). Il Cegri toccherà un massimo di 72,2 punti nel 2012 per poi aumentare di un decimo di punto nell’anno successivo (72,3 nel 2013) diminuendo leggermente solo nel 2014. La debolezza del contesto macroeconomico peserà sui bilanci delle aziende: i ricavi si contrarranno del 1,3% nel 2012, mentre nel 2013 non terranno il passo dell’inflazione. Inevitabilmente, quindi, le società faticheranno a sostenere gli oneri finanziari e i debiti accumulati.

In un secondo scenario si ipotizza una ripresa dell’economia attraverso le esportazioni e un auspicato successo delle misure anti-spread che porterebbero il differenziale con i titoli tedeschi a circa 200 punti nel 2014. Il Pil salirebbe del 0,8% nel 2013 per accelerare all’1,4% nel 2014. In questo caso, dopo il massimo del 2012 a 71,9 punti, il Cegri diminuirebbe nel 2013 solo marginalmente, attestandosi al valore di 71,8.

Infine, in un terzo scenario di ritorno alla crescita di forte intensità il Cerved ipotizza un aumento del Pil del 1,8% nel 2013 e addirittura del 3,5 % nell’anno successivo. In questo caso, il Cegri calerebbe a quota 70,9 punti nel 2013, mentre il risparmio in termini di minori sofferenze per le banche ammonterebbe a 7,7 miliardi di euro (tra la fine del 2012 e del 2014), con 4.500 casi di default in meno.

Questa analisi mette in luce che anche in caso di una ripresa ben più poderosa di quella prevista, i tassi di rischio rimarrebbero alla fine del 2014 ancora a livelli ben superiori rispetto a quelli pre-crisi registrati nel 2007. A tal proposito, Guido Romano, responsabile dell’ufficio studi del Cerved Group, ha dichiarato che “nello scenario più ottimistico, il ritorno a una crescita sostenuto dell’economia italiana favorirebbe soprattutto le imprese che operano con l’estero e il rischio si ridurrebbe soprattutto nei settori più sensibili alle esportazioni: si prevede un calo nella filiera dell’auto, nella siderurgia e nella meccanica quando invece i settori meno sensibili a una ripresa economica sarebbero il largo consumo, i servizi non finanziari e la produzione di beni intermedi. La crisi dei bilanci aumenta la forbice tra le imprese: chi è strutturato andrà progressivamente sempre meglio di chi è piccolo e in difficoltà”.

alessandro.braida@coveco.it

Di seguito il mio contributo sul tema delle start-up uscito su il Quotidiano del Friuli Venezia Giulia di martedì 16 ottobre 2012.

Contesti per lo sviluppo delle Start-up

L’innovazione, motore dello sviluppo economico, è al centro di numerose iniziative intraprese per sostenere la nascita delle start-up: imprese che attraversano la fase iniziale del loro sviluppo e che ambiscono a generare utili elevati entro pochi anni. È recente la notizia che il ministro Corrado Passera ha presentato nella sede dell’incubatore veneto H-Farm il Rapporto “Restart Italia” per rilanciare la crescita e l’innovazione attraverso il sostegno alle start up.

L’avvio di una nuova attività imprenditoriale rappresenta una sfida avvincente e allo stesso tempo molto complessa. Richiede l’elaborazione di una chiara strategia che con un’attenta disamina faccia emergere l’idea innovativa ma anche, i pericoli, le opportunità, i rischi e le criticità da gestire nella fase d’avvio e in quella dello sviluppo del business. Richiede la scelta della forma giuridica che l’impresa dovrà assumere e del modello organizzativo del quale si dovrà dotare per la sua governance. Esige, infine, una realistica analisi dell’ambiente competitivo per posizionare correttamente l’impresa sui mercati.

Tali valutazioni devono necessariamente essere formalizzate attraverso strumenti di progettazione e presentazione come gli elevator pitch (una chiara e sintetica presentazione del progetto con lo scopo di convincere gli investitori in un brevissimo lasso di tempo) e come i business plan.

Decisiva, per un progetto imprenditoriale, è la valutazione delle dinamiche finanziarie a supporto delle diverse fasi di sviluppo dello start-up. Oltre agli strumenti bancari, ai finanziamenti pubblici e alle agevolazioni (regionali, nazionali e comunitarie), il finanziamento attraverso il capitale di rischio rappresenta spesso la chiave per il successo dei progetti: incubatori, business angel e venture capitalist sono attori chiamati a ricoprire un ruolo determinante per il rilancio economico. Se grandi aziende come, ad esempio, Telecom, Vodafone, Intesa San Paolo hanno da tempo avviato iniziative per le start-up, anche associazioni di business angel come IBAN (Italian Business Angel Network) e come IAG (Italian Angels for Growth) rivestono un ruolo di primaria importanza.

La leva finanziaria è indispensabile. Non va dimenticato, tuttavia, che esiste anche un contesto sociale fatto di enti, associazioni, centri di aggregazione e sistemi per fare network che ruotano intorno al mondo delle nuove imprese tecnologiche. In particolare, si stanno diffondendo luoghi, reali e virtuali, che mettono a disposizione postazioni di lavoro condivise in ambienti vivaci e ricchi di stimoli. Lo scopo è quello di favorire le sinergie e di incrementare lo scambio di idee in community di professionisti e di aziende che talvolta si prestano a un servizio di consulenza personalizzato. Situazioni ben avviate sono la rete dei “Coworking”, che si stanno diffondendo in tutta Italia, e la rete mondiale di spazi fisici e di persone che si occupano di nuova imprenditorialità, di innovazione e di impresa sociale denominata “The Hub” che ha una sede a Trieste.

Anche i Gruppi Giovani Imprenditori di Confindustria rivestono un ruolo trainante per la crescita delle start-up; Massimiliano Zamò, presidente del Gruppo di Udine, ha più volte evidenziato il suo impegno in tale direzione.

 

alessandro.braida@coveco.it

Mio contributo pubblicato su Il Quotidiano Fvg del 10 luglio 2012: i conflitti in azienda non sono sempre negativi.

Alcune statistiche concernenti il mondo del lavoro e la famiglia permettono interessanti riflessioni sulla realtà delle nostre aziende. Nel 2011, in Italia, il numero di lavoratori che ha deciso di ricorrere contro le imprese attraverso l’assistenza legale di un sindacato si è attestato a ben 320.000 unità. Se guardiamo al Friuli Venezia Giulia la tendenza alla disgregazione familiare, con 248 divorzi ogni 100.000 abitanti, contro una media italiana di 182, è particolarmente elevata.

È evidente che le persone faticano a scegliersi nel modo corretto e, in ogni caso, stentano nel generare relazioni capaci di assorbire periodi di conflitto. Anzi, la conflittualità è intesa quasi sempre in termini negativi e viene risolta con la tendenza all’allontanamento, più o meno coatto.

Nei dibattiti sul tema della leadership in azienda è ricorrente il tema della personalità dei manager e della necessità di ricorrere a dirigenti in grado di proporre e discutere scelte anche in controtendenza rispetto alla tradizionale gestione dell’impresa. In un contesto sociale nel quale il conflitto è considerato in termini negativi e concludenti, come accettare un collaboratore con gli “attributi” in azienda?

Nelle imprese organizzate gerarchicamente e caratterizzate dalla presenza di imprenditori carismatici con delle visioni chiare, prevalgono dirigenti luogotenenti. Ciò può essere efficace se l’imprenditore è particolarmente brillante nella direzione, tuttavia, al crescere delle dimensioni aziendali e della conseguente complessità, la necessità di controllo aumenta e si possono generare delle inefficienze dovute all’autoreferenzialità, a collaboratori poco proattivi e alla difficoltà nel far rispettare le direttive al personale.

Una via d’uscita è rappresentata dalla possibilità di introdurre delle situazioni generative: brainstorming (con astensioni di giudizio e apporti aperti di idee), lavori di gruppo coordinati da manager capaci di stimolare le persone e gruppi di discussione per il miglioramento di processi e di metodi di lavoro. Indispensabile, a questo punto, lo strumento della delega: ciò rappresenta un’attribuzione di potere decisionale e operativo in un ambito ben definito. Significa anche introdurre degli obiettivi e dei sistemi di valutazione delle performance aziendali e del personale.

In altre imprese, frequentemente in quelle in fase d’avvio, l’imprenditore, concentrato sul suo prodotto, rischia di sottovalutare l’esigenza di un’organizzazione ben strutturata e coerentemente diretta. In questo caso, la presenza di uno o più manager che, oltre a tradurre l’idea in strategia e in piani di azione produttivi e commerciali, siano in grado di negoziare con l’imprenditore e con il personale l’introduzione di obiettivi, compiti, regole e assetti organizzativi più razionali può rivelarsi una chiave vincente. Su cosa puntare? Comunicazione interna, procedure snelle e condivise, poche regole efficaci e certe, capacità e strumenti di valutazione delle performance.

La discussione è aperta al seguente indirizzo web: coveco.wordpress.com.

Ho scritto questo articolo per “Il Quotidiano del Friuli Venezia Giulia” per ribadire, ancora una volta, che il punto di partenza di un buon sistema di controllo della gestione aziendale è la sua coerenza rispetto alla strategia aziendale.

STRATEGIA PIANIFICAZIONE E CONTROLLO: BUONE PRASSI PER BUONE IMPRESE

In momenti storici caratterizzati da repentini mutamenti degli scenari competitivi, molte aziende, soprattutto di piccole o medie dimensioni, attanagliate da problemi commerciali e finanziari che devono necessariamente trovare immediate risposte, finiscono per sottovalutare come sia l’individuazione di una strategia e la sua persecuzione attraverso pianificazioni soggette a periodiche e costanti revisioni a garantire il raggiungimento dell’efficienza aziendale e a stimolare veloci risposte ai cambiamenti della domanda di mercato.

Occorre, certamente, accordarsi su un concetto: individuare una strategia, soprattutto in momenti come questi, è un processo disomogeneo, in continuo progresso, spesso contraddistinto da intuizioni e che, inevitabilmente, avviene attraverso piccoli aggiustamenti.

I sistemi di pianificazione e controllo della gestione, di fronte a imprese che sono costantemente alla ricerca di nuove opportunità e di nuovi vantaggi competitivi, devono evolvere di pari passo con i mutamenti delle strategie aziendali che devono essere trasmesse a tutto il personale con l’intento di fornire all’intera organizzazione il punto di riferimento necessario al raggiungimento degli obiettivi predefiniti; tutto ciò, inoltre, deve avvenire ponendo in primo piano anche gli aspetti qualitativi del business oltre alle attività e ai processi vere fonti di valore aggiunto. In particolare, 
si rendono indispensabili indicatori capaci di misurare anche la prospettiva del cliente e la capacità dell’impresa di generare innovazione e di mantenersi in costante apprendimento.

Indicatori come il tasso di fidelizzazione dei clienti, la capacità di acquisirne di nuovi, la customer satisfaction, la marginalità del cliente, la capacità di generare e gestire relazioni, diventano misure di performance alle quali far riferimento se si vuole migliorare la qualità della propria offerta di prodotti o servizi.

La formazione e la tensione all’apprendimento continuo sono, invece, gli elementi essenziali per consentire lo sviluppo di tutta l’impresa: per generare innovazione e indirizzare la competitività verso i livelli di eccellenza richiesti dal mercato, occorre mantenere in continuo aggiornamento le conoscenze e le competenze. Non solo, diventa essenziale valutare con adeguati indicatori l’allineamento delle risorse aziendali agli obiettivi strategici. Per questo motivo, nelle imprese si misurano sempre più spesso il tasso di assenteismo, il tasso di turnover, le ore di formazione, il numero di nuovi brevetti, ecc.

Le organizzazioni non sempre ben strutturate e la cultura aziendale spesso orientata al breve periodo rendono talvolta difficile per le piccole e medie imprese ragionare in termini di misurazione delle performance. Tuttavia, le aziende che vogliono affrontare un percorso di cambiamento, indispensabile per mantenere competitività, devono considerare l’introduzione di un sistema di programmazione e controllo ragionato e coerente con gli obiettivi strategici come una prassi di buona gestione non più derogabile.

alessandro.braida@coveco.it

Articolo “Il Quoditiano” del 8 maggio 2012