Articoli

Il mio contributo a Il Quotidiano del Friuli Venezia Giulia del 18 febbraio.

Start-up: riflessioni per accelerare la crescita
 Il numero delle start-up innovative è in costante aumento in Italia ed, oltre alle società già costituite, esiste una florida realtà di pre start-up rappresentata da un patrimonio di giovani team con idee imprenditoriali che si formano nelle numerose business plan competition, nei programmi di incubazione e accelerazione.
Secondo dati recenti, si calcolano 1.478 start-up innovative iscritte negli ultimi mesi nei registri delle camere di commercio e 1.082 spin-off creati dai risultati della ricerca pubblica. Altre indagini ci dicono che 50% delle start-up innovative sono localizzate al Nord, il 36% al Centro e il 14% al Sud e che gli investimenti totali nelle start-up hi-tech nel 2012 sono stati pari a 112 milioni di Euro mentre il dato stimato per il 2013 è di 110 milioni circa. Importante evidenziare che, fatto cento l’investimento totale in queste start-up nel corso del 2012, il 71% delle risorse proviene da investitori istituzionali e solo il restante 29% da business angels, incubatori e acceleratori di business. Interessante anche notare che osservando il background e l’età dei fondatori delle start-up, si può constatare che ben l’83% dei fondatori ha un passato o un’esperienza di natura manageriale mentre il restante 17% un background di natura tecnica.
Naturalmente, la realtà presenta anche i suoi punti dolenti se non altro perché la trasformazione del valore economico attribuibile all’idea imprenditoriale in generazione di fatturato rimane molto difficile: la stragrande maggioranza delle start-up innovative produce un  fatturato inferiore ai 100 mila euro. Con un po’ di coraggio è opportuno affrontare la questione e contribuire al dibattito con alcune riflessioni.
In primo luogo, è necessario sviluppare legami tra start-up e aziende di dimensioni almeno medie che dispongono di capacità finanziaria,  sono dotate di modelli gestionali e organizzativi consolidati, sono presenti sui mercati esteri e devono cercare soluzioni innovative per rimanere competitive. Queste aziende, inoltre, dispongono di competenze manageriali e di relazioni strategiche e commerciali fondamentali per trasformare il valore delle idee innovative in fatturato.
In secondo luogo, il focus strategico deve essere spostato dalla tecnologia all’esistenza di una domanda concreta di bisogni espliciti e reali da soddisfare. L’idea che le start-up debbano essere imprese super-tecnologiche e concentrate  nelle comunità di innovatori giova più a un approccio mediatico che economico.
Infine, è decisivo sviluppare da subito fatturato perché esso valida l’utilità del progetto imprenditoriale e del prodotto o servizio. Uno sviluppo repentino delle vendite è preferibile anche a dei sussidi generalizzati alle prime fasi di operatività. Necessario, quindi, creare occasioni per la sperimentazione sul campo del prodotto o servizio verificandone l’accettazione da parte del futuro cliente e le condizioni alle quali questo è disposto ad acquistare.

 

 

Start & Go: le premiazioni finali a Udine. Un evento di successo che premia l’impegno a sostegno delle nuove imprese da parte del Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Udine.

La principale difficoltà nella fase d’avvio di una nuova impresa (start-up) è, quasi sempre, la stessa: trovare i finanziamenti per sostenere gli investimenti necessari a concretizzare l’idea imprenditoriale. Le forti capacità tecniche e la stessa idea innovativa proprie di una start-up si scontrano, infatti, con un altrettanto forte bisogno di capitali e con pochi beni da porre come garanzia per ottenere credito.

Il fabbisogno di mezzi finanziari, inoltre, non si esaurisce con il superamento della fase iniziale d’avvio, perché spesso serve liquidità anche per supportare la fase di sviluppo e crescita successiva. Come consulente di management ho affiancato diverse start-up è ho riscontrato che molte non decollano a causa delle difficoltà commerciali, pur avendo un ottimo prodotto. In altre parole, la ricerca di risorse finanziarie necessarie per sostenere gli sforzi per la costruzione della rete di vendita si rivela difficoltosa e non spesso trova successo.

L’analisi che emerge, pertanto, ci porta a pensare che è preferibile concentrarsi sulle strategie di business piuttosto che sulla ricerca di investitori. Questa è anche la lezione che John Mullins, professore associato alla London Business School, propone in un recente articolo pubblicato nella rivista Harvard Business Review. Da un’attenta esamina di casi aziendali egli afferma che, in alcune start-up di successo, il business model è strutturato in modo tale che gli anticipi pagati dai clienti aiutano a finanziare la crescita. In pratica, così come fanno alcuni studi professionali, la chiave è farsi pagare in anticipo per finanziarsi, prima di impiegare risorse su propri prodotti e servizi.

Di fronte ai casi di molte start-up che dedicano troppo tempo alla ricerca di finanziamenti e ne spendono troppo nello sviluppo dei prototipi, Mullins presenta cinque modelli alternativi validi in precisi settori commerciali. Tali modelli sono denominati “Il sensale”, “Su deposito”, “Su abbonamento”, “Standardizza e rivendi” e “Scarsità”.

“Il sensale”: adatto nei contesti nei quali c’è bisogno di un intermediario che colleghi venditori e acquirenti come nel caso di eBay e del social lending Zopa.

“Su deposito”: da usare nei contesti in cui il lavoro si articola nel tempo piuttosto che con una singola transazione. Da segnalare l’esperienza del sito web per le prenotazioni online Expedia.

“Su abbonamento”: valido per business che prevedono la vendita di beni di consumo (verdure biologiche, vitamine ecc.) o servizi d’intrattenimento.

“Standardizza e rivendi”: utilizzabile nei contesti nei quali un servizio o un prodotto su misura per un cliente può essere riadattato e venduto a un gruppo di acquirenti più ampio come nel caso della piattaforma di branded entertainment globale Be On.

“Scarsità”: importante in contesti dalla rapida obsolescenza di prodotti e mode come nel mercato dell’abbigliamento (Zara).

 

Alessandro Braida

Consulente di Management CMC-APCO

 

Di seguito il mio articolo pubblicato martedì 12 febbraio 2012 da “Il Quotidiano del Friuli Venezia Giulia”.

RISCHIARE IMPARANDO DAGLI ERRORI – L’IMPRENDITORE DI SUCCESSO SI CONFRONTA CON LE IMPERFEZIONI

Johann Gutenberg, l’inventore della stampa a caratteri mobili, nel 1450 costituì una società con il banchiere Johann Fust e con l’incisore Peter Schöffer con l’obiettivo di stampare la “Bibbia a 42 linee” per poi commercializzarne le copie. Fust, che oggi sarebbe identificato con il termine inglese di “business angel”, contribuì con 1.600 fiorini allo sviluppo dell’idea imprenditoriale di Gutenberg. Qualche anno dopo, il banchiere, preoccupato dalla lentezza nell’ottenere le ambite alte remunerazioni dell’investimento, sciolse la società chiedendo a Gutenberg di restituire il prestito. Lo sfortunato inventore tedesco non fu in grado di restituire la somma e fallì.

In un recente articolo pubblicato sul blog del “Harvard Business Review”, vengono riportati alcuni dei più grandi errori imprenditoriali di Steve Jobs, personalità spesso paragonata proprio a Gutenberg per l’impatto mondiale delle innovazioni introdotte attraverso le sue aziende.  Ormai nota è la vicenda dell’allora ventinovenne Jobs che reclutò John Sculley, allora presidente della PepsiCo Incorporation, come CEO (amministratore delegato) della Apple; qualche anno dopo fu proprio Sculley che architettò l’allontanamento di Jobs dalla Apple. Sempre Steve Jobs ebbe grandi difficoltà nel gestire la Pixar e la NeXT computer e, inoltre, lanciò sul mercato alcuni prodotti che si rivelarono fallimentari quali the Apple Lisa, Macintosh TV, the Apple III, the Powermac g4 cube. Fortunatamente questi insuccessi costituirono la base per la realizzazione di prodotti più fortunati come iPod, iPhone, iPad.

Le vicende di Gutenberg e del fondatore della Apple ci fanno capire come l’essere coinvolto in un processo d’innovazione possa significare l’accettazione dell’imperfezione come parte del processo creativo. Solo dagli errori è possibile apprendere quello che può realmente funzionare e quello che è destinato a fallire. Anzi è proprio sostenendo questo processo che un imprenditore, gestendo o avviando un’azienda, assume il rischio d’impresa. Regole definite e assolute per diventare un imprenditore di successo, da questo punto di vista, non esistono. Come ci insegnano gli scienziati cognitivi, impegnandosi in operazioni rischiose e dall’esito incerto si tende a considerare in primo luogo i pericoli derivanti dal perdere i nostri averi e, in subordine, i possibili e ingenti guadagni. Avere la forza, il talento e qualche volta l’incoscienza di andare oltre questo modo di concepire le cose è una prerogativa imprenditoriale che non deve essere compressa da una cultura che condanna eccessivamente il fallimento. Il rischio, infatti, è quello di un rallentamento dell’azione innovativa.

Seguendo questo ragionamento, incentivare le nascenti imprese ad alto tasso d’innovazione (start-up), ovvero attività molto rischiose e con elevati tassi di insuccesso, attraverso la leva fiscale può rivelarsi inefficace. Meccanismi assicurativi e normative concorsuali che evitino il fallimento (o ne attenuino le conseguenze), possono invece svolgere un ruolo decisivo.

Di seguito il mio articolo pubblicato su realtà industriale di Confindustria Udine di questo mese

L’avvio di una nuova attività imprenditoriale rappresenta una sfida avvincente e allo stesso tempo di elevata complessità. Richiede l’elaborazione di una chiara strategia che con un’attenta disamina faccia emergere l’idea innovativa ma anche i pericoli, le opportunità, i rischi e le criticità da gestire nella fase d’avvio e in quella dello sviluppo del business. Richiede la scelta della forma giuridica che l’impresa dovrà assumere e del modello organizzativo che dovrà adottare per la sua governance. Esige, soprattutto, una realistica analisi dell’ambiente competitivo per posizionare correttamente l’impresa sui mercati. Una ricerca di mercato fondata sul reperimento di dati e di informazioni presso siti web, associazioni imprenditoriali, camere di commercio, enti di ricerca e sportelli europei consente una migliore comprensione dell’evoluzione dei bisogni dei potenziali clienti; ciò significa evitare di basare le proprie speranze di successo su percezioni personali troppo spesso considerate indubitabili oppure sulle proprie capacità tecniche, produttive, organizzative e commerciali.

Le valutazioni strategiche devono necessariamente essere formalizzate con strumenti di progettazione e presentazione come gli elevator pitch (una chiara e sintetica presentazione del progetto con lo scopo di convincere gli investitori in un brevissimo lasso di tempo) e come il business plan, documento fondamentale sia nella fase di avvio d’impresa sia in seguito per la ricerca di finanziamenti. Decisiva, infatti, per un progetto imprenditoriale, è la valutazione razionale delle dinamiche finanziarie a supporto delle diverse fasi che attraversa l’impresa durante il suo avvio:

– la fase iniziale denominata “seed”, durante la quale non è necessario un fabbisogno finanziario troppo elevato;

– la fase successiva di “start-up”, nella quale l’esigenza di fonti finanziarie cresce per sostenere la probabile assenza di ricavi;

– la fase “early growth”, durante la quale la veloce espansione dei ricavi produce un maggior autofinanziamento che continua, comunque, a non essere sufficiente per sostenere l’elevato fabbisogno finanziario connesso all’esigenza di sviluppare la rete distributiva sul mercato, di sostenere gli investimenti in capacità produttiva e al rapido sviluppo del capitale circolante;

– infine, la fase “sustained growth” nella quale il fabbisogno finanziario è proporzionale alla crescita del fatturato.

Durante questo percorso, oltre agli strumenti bancari, ai finanziamenti agevolati (regionali, nazionali e comunitarie), il finanziamento attraverso il capitale di rischio rappresenta spesso la chiave per il successo del progetto: incubatori, business angel e venture capitalist sono attori chiamati a ricoprire un ruolo indispensabile. Se grandi aziende come, ad esempio, Telecom, Vodafone, Intesa San Paolo hanno da tempo avviato iniziative per le start-up, anche associazioni di business angel come IBAN (Italian Business Angel Network) e come IAG (Italian Angels for Growth) rivestono un ruolo di primaria importanza.

La leva finanziaria è indispensabile. Non va dimenticato, tuttavia, che esiste anche un contesto sociale fatto di enti, associazioni, centri di aggregazione e sistemi per fare network che ruotano intorno al mondo delle nuove imprese tecnologiche. In particolare, si sono ormai diffusi luoghi, reali e virtuali, che mettono a disposizione postazioni di lavoro condivise in ambienti vivaci e ricchi di stimoli. Lo scopo è quello di favorire le sinergie e di incrementare lo scambio di idee in community di professionisti e di aziende che, talvolta, si prestano a un servizio di consulenza personalizzato. Situazioni ben avviate sono la rete dei “Coworking”, che si stanno diffondendo in tutta Italia, e la rete mondiale di spazi fisici e di persone che si occupano di nuova imprenditorialità, d’innovazione e d’impresa sociale denominata “The Hub” che ha una sede a Trieste.

Anche il Gruppo Giovani Imprenditori di Confindustria Udine si sta impegnando concretamente per le start-up. È in fase di progettazione, infatti, un’iniziativa denominata “Start & Go” rivolta a micro, piccole e medie imprese gestite da giovani imprenditori tra i 18 e i 40 anni che intendono sviluppare progetti ad alto contenuto innovativo, tecnologico e di conoscenza di prodotti, servizi, processi e modelli di gestione migliorativi rispetto al panorama esistente. Il progetto vuole sostenere la crescita delle nuove iniziative imprenditoriali particolarmente innovative e prevede anche un bando di finanziamento che aprirà entro fine anno. Il Gruppo sta lavorando anche per ottenere finanziamenti bancari a tasso agevolato e si prevedono azioni di sostegno attraverso consulenze professionali, premi in denaro, insediamento presso incubatori, promozione dell’iniziativa imprenditoriale, visibilità sul territorio, formazione e tutoraggio.

Alessandro Braida

Gruppo Giovani Imprenditori Confindustria Udine

Di seguito il mio contributo sul tema delle start-up uscito su il Quotidiano del Friuli Venezia Giulia di martedì 16 ottobre 2012.

Contesti per lo sviluppo delle Start-up

L’innovazione, motore dello sviluppo economico, è al centro di numerose iniziative intraprese per sostenere la nascita delle start-up: imprese che attraversano la fase iniziale del loro sviluppo e che ambiscono a generare utili elevati entro pochi anni. È recente la notizia che il ministro Corrado Passera ha presentato nella sede dell’incubatore veneto H-Farm il Rapporto “Restart Italia” per rilanciare la crescita e l’innovazione attraverso il sostegno alle start up.

L’avvio di una nuova attività imprenditoriale rappresenta una sfida avvincente e allo stesso tempo molto complessa. Richiede l’elaborazione di una chiara strategia che con un’attenta disamina faccia emergere l’idea innovativa ma anche, i pericoli, le opportunità, i rischi e le criticità da gestire nella fase d’avvio e in quella dello sviluppo del business. Richiede la scelta della forma giuridica che l’impresa dovrà assumere e del modello organizzativo del quale si dovrà dotare per la sua governance. Esige, infine, una realistica analisi dell’ambiente competitivo per posizionare correttamente l’impresa sui mercati.

Tali valutazioni devono necessariamente essere formalizzate attraverso strumenti di progettazione e presentazione come gli elevator pitch (una chiara e sintetica presentazione del progetto con lo scopo di convincere gli investitori in un brevissimo lasso di tempo) e come i business plan.

Decisiva, per un progetto imprenditoriale, è la valutazione delle dinamiche finanziarie a supporto delle diverse fasi di sviluppo dello start-up. Oltre agli strumenti bancari, ai finanziamenti pubblici e alle agevolazioni (regionali, nazionali e comunitarie), il finanziamento attraverso il capitale di rischio rappresenta spesso la chiave per il successo dei progetti: incubatori, business angel e venture capitalist sono attori chiamati a ricoprire un ruolo determinante per il rilancio economico. Se grandi aziende come, ad esempio, Telecom, Vodafone, Intesa San Paolo hanno da tempo avviato iniziative per le start-up, anche associazioni di business angel come IBAN (Italian Business Angel Network) e come IAG (Italian Angels for Growth) rivestono un ruolo di primaria importanza.

La leva finanziaria è indispensabile. Non va dimenticato, tuttavia, che esiste anche un contesto sociale fatto di enti, associazioni, centri di aggregazione e sistemi per fare network che ruotano intorno al mondo delle nuove imprese tecnologiche. In particolare, si stanno diffondendo luoghi, reali e virtuali, che mettono a disposizione postazioni di lavoro condivise in ambienti vivaci e ricchi di stimoli. Lo scopo è quello di favorire le sinergie e di incrementare lo scambio di idee in community di professionisti e di aziende che talvolta si prestano a un servizio di consulenza personalizzato. Situazioni ben avviate sono la rete dei “Coworking”, che si stanno diffondendo in tutta Italia, e la rete mondiale di spazi fisici e di persone che si occupano di nuova imprenditorialità, di innovazione e di impresa sociale denominata “The Hub” che ha una sede a Trieste.

Anche i Gruppi Giovani Imprenditori di Confindustria rivestono un ruolo trainante per la crescita delle start-up; Massimiliano Zamò, presidente del Gruppo di Udine, ha più volte evidenziato il suo impegno in tale direzione.

 

alessandro.braida@coveco.it